il manifesto 30.10.18
Fine di un’era, Merkel verso l’addio alla politica
Germania.
La cencelliera concluderà il mandato nel 2021, e non si ricandiderà. Ma
già a dicembre lascerà la guida della Cdu. La storica decisione dopo la
batosta alle elezioni in Assia, «il governo ha perduto credibilità»
di Sebastiano Canetta
BERLINO
«È giunto il momento di aprire un capitolo nuovo». Quattordici ore dopo
la clamorosa batosta elettorale in Assia, Angela Merkel scandisce le
parole che mettono ufficialmente fine al suo ventennio da presidente
della Cdu.
AL CONGRESSO di Amburgo a inizio dicembre la
cancelliera non si ricandiderà alla testa del partito guidato fin dal
2000, con buona pace delle garanzie in senso contrario che ha ripetuto
fino alla scorsa estate.
A succederle, molto probabilmente, sarà
la sua «numero due» Annegret Kramp-Karrenbauer (detta Akk), attuale
segretaria generale dei cristiano-democratici, o il giovane leader della
destra interna, Jens Spahn, ministro della Sanità e suo principale
rivale, oppure in alternativa l’ex capogruppo dell’Union, Friedrich
Merz. A meno, naturalmente, di sorprese dell’ultima ora.
SI CHIUDE
COSÌ l’epoca di Mutti madre-padrona della Cdu e contemporaneamente capo
della cancelleria federale. Anche se i fedelissimi si affannano a
precisare che «rimane disponibile» a mantenere la poltrona di premier
fino alla scadenza della legislatura. Comunque «sarà il mio ultimo
mandato: nel 2021 abbandonerò del tutto la politica» assicura l’ex
“Ragazza dell’Est” appena seppellita dal terremoto elettorale nel cuore
dell’Ovest.
Alla conta finale dei voti in Assia, la Cdu “di
governo” resta il primo partito ma risulta sprofondata fino all’abisso
di quota 27%: ben 11 punti in meno rispetto a cinque anni fa. Mentre i
4,4 milioni di elettori hanno colato a picco anche l’opposizione in
formato Spd, condannando i socialisti al peggior risultato dal 1949:
19,8% corrispondente alla perdita del 10,9% dei consensi dal 2013.
Crescono invece i liberali (7,5%; più 2,5%) e, di poco, la Linke che ha
convinto il 6,3%: l’1% in più delle scorse elezioni. Tuttavia, proprio
come due settimane fa a Monaco, anche a Wiesbaden si conferma –
soprattutto – il trend verde e nero evidenziato nel voto bavarese. Con
il vero e proprio trionfo di Tarek Al-Wazir, candidato di origine
yemenita dei Grünen, dimostratosi in grado di conquistare il 19,8%
(+8,7%) che garantisce gli stessi 29 seggi della Spd dopo aver condiviso
cinque anni di esecutivo con la Cdu. Ma anche con il “botto” dei
fascio-populisti di Afd, esplosi meno del previsto eppure capaci di
passare dal 4,1% al 13,1% che apre le porte dell’ultimo Parlamento
regionale non ancora occupato.
RISULTATI «ASPRI e deludenti»
ammette Merkel assumendo in toto e personalmente l’onere della
sconfitta: «Da cancelliera sono la prima responsabile dei successi
raggiunti dalla Cdu, così come dei suoi fallimenti» è il ragionamento
per una volta potato delle consuete grinze democristiane. Costa
l’abbandono della strategia che le ha permesso di governare per tredici
anni la Repubblica federale al pari del primo partito del Bundestag. «La
leadership nella Cdu e nella cancelleria deve camminare di pari passo»
non sarà mai più l’inflessibile leitmotiv pronunciato appaiando le mani a
forma di cuore.
«Il governo ha perduto credibilità: non possiamo
andare avanti in questo modo» spiega Merkel anzitutto agli alleati.
Dalla Csu uscita a pezzi dalle elezioni in Baviera, ai socialdemocratici
che – anche con la gestione di Andrea Nahles – non fermano la corsa
verso il baratro: ieri hanno preteso «una verifica di governo entro
dicembre per dirimere i conflitti interni alla Grosse Koalition».
SARÀ
L’ULTIMA CHIAMATA prima del punto di non ritorno, mentre la cancelliera
ha già stabilito il proprio destino con l’unica pretesa di voler
«lasciare gli incarichi con la stessa dignità di come sono stati
svolti».
Fuori discussione, dunque, qualunque candidatura dentro e
fuori alla Germania, anche a tempo. «Ipotesi da escludere a priori»
puntualizza Merkel, anche nel caso di caduta anticipata del suo quarto
governo, dove pesano «i problemi di comunicazione ma soprattutto quelli
connessi alla cultura del lavoro»
Da qui, l’inizio della fine
dell’eterno, monolitico, mitologico Merkeland, che sembra dispiacere
perfino al leader Csu, Horst Seehofer, destinato a rimanere orfano della
principale “nemica” come privo del bersaglio-grosso su cui sparare
politicamente un giorno sì e l’altro pure.
«È un vero peccato che
frau Merkel lasci la presidenza della Cdu» fa sapere il ministro
dell’Interno, fingendo di dimenticare come quest’estate sia stato sul
punto di far schiantare la Groko pur di far passare il suo
Masterplan-immigrazione. Da dicembre dovrà fare i conti con la nuova
presidenza del partito “gemello” ma anche con il piccolo esercito di
cristiano-democratici finora rimasti schiacciati dalla gigantesca ombra
di Merkel. Dall’ex “falco” delle Finanze Wolfgang Schäuble (già delfino
di Kohl) alle ministre dell’Agricoltura, Julia Klöckner, e Difesa,
Ursula von der Leyen, fino al braccio-destro di Angela, Peter Altmaier, o
al catto-liberal, Armin Laschet.