il manifesto 30.10.18
Il Brasile fa tremare le vene dell’America Latina
Democrazia
in pericolo. "Fenomeno" Bolsonaro. Perché le classi dominanti si sono
sbilanciate a favore di una sorta di neo fascista psicopatico. Dal
Venezuela a Cuba, le conseguenze non si faranno attendere
di Roberto Livi
La
netta vittoria (55% dei voti contro il 45%) di Jair Bolsonaro mette in
pericolo 30 anni di ritorno alla democrazia in Brasile. Questa volta un
candidato neo fascista, apertamente favorevole alla repressione violenta
di ogni forma di opposizione e organizzazione popolare, sale al potere
non grazie alla forza delle armi ma a un consenso popolare basato su un
pericolosissimo cocktail: da un lato un (falso) populismo nazionalista e
antisistema, dall’altro l’appoggio della corrente più integralista
dell’evangelismo americano, scatenato in una guerra senza quartiere a
Sodoma e Gomorra.
Non è solo il Brasile che trema. Bolsonaro sarà
il presidente di estrema destra in una regione dove di recente gli
elettori hanno scelto leader conservatori o di destra in paesi come
Argentina, Cile, Paraguay, Perù e Colombia. Il Cono sud dell’America
latina corre il pericolo di precipitare – se non ai tempi orribili
dell’Operazione Condor condotta dalle dittature militari di Pinochet e
Videla – nella tenaglia di un blocco autoritario, neoliberista e
subordinato alla politica imperiale degli Usa ai tempi di Trump.
Elettori di Jair Bolsonaro (Afp)
LE
CONSEGUENZE non tarderanno a farsi sentire per il Venezuela
bolivariano, che vede alle sue fontiere due governi di destra (Colombia)
ed estrema destra (Brasile) pronti ad appoggiare un’eventuale azione
militare «umanitaria» degli Stati uniti. E per Cuba che torna a subire
una politica da guerra fredda da parte dell’Amministrazione di
superfalchi di Donald Trump.
Fernando Haddad, il candidato
sconfitto del partito dei lavoratori (Pt) lo ha detto chiaramente e con
coraggio nel suo intervento dopo i risultati finali delle presidenziali:
il Brasile popolare deve prepararsi a un periodo di resistenza e di
lotta per la democrazia. Non si tratta di difendere un partito o una
parte della sinistra ma di organizzare un vasto movimento popolare per
la difesa della libertà di espressione e di organizzazione popolare e
della vita democratica. Nel gigante sudamericano vi sono molti movimenti
popolari e di lotta sociale, dai Senza terra ai Senza tetto, dagli
ecologisti alle femministe. Tutti sono ora in pericolo. «O se ne vanno
fuori del paese o vanno in galera», è la ricetta promessa da Bolsonaro.
IL
SUO PROGRAMMA di sicurezza fa tremare le vene: pene più severe e
riduzione dell’età (a 16 anni) per essere responsabili penalmente, armi
per tutti e licenza d’uccidere per le forze dell’ordine, che già hanno
un triste primato continentale. Secondo, il Forum Brasileiro de
Segurança Pública, tenuto conto delle proporzioni tra le popolazioni, la
polizia brasiliana uccide 19 volte di più di quella statunitense. A
Bolsonaro però va bene così perché «un poliziotto che non uccide non è
un poliziotto».
Il nuovo presidente ha promesso mano dura anche
contro le riserve degli indios e le aree di conservazione
dell’Amazzonia, le principali barriere di contenimento alla devastazione
della più grande foresta tropicale e polmone verde del mondo. «Non
avranno nemmeno un centimetro di terra». Il ministero dell’Ambiente sarà
incorporato a quello dell’Agricoltura che – parola di Bolsonaro – agirà
in consonanza col «settore produttivo». Ovvero lascerà «mano libera»
all’agrobusiness, ai pascoli delle grandi fazendas, ai latifondisti
della soja, alle attività minerarie e ai grileiros, potenti locali che
si impadroniscono delle terre pubbliche a colpi di pistola. E che poi le
disboscano selvaggiamente.
IL “FENOMENO” BOLSONARO – un
parlamentare semisconosciuto che in 28 anni non è riuscito a far
approvare un solo progetto di legge e che vede il suo partito passare da
un pugno di parlamentari a 53 deputati – non si può spiegare senza
l’appoggio dei poteri forti militari, economici e finanziari e dei
maggiori mass media.
Perché le classi dominanti si sono
sbilanciate a favore di una sorta di psicopatico come Bolsonaro, il cui
prossimo governo, come afferma l’analista Xosé Hermida, promette una
società polarizzata e «con licenza di odiare»? Come osserva Gramsci nei
Quaderni, in situazione di «crisi organica», quando si produce una
rottura nell’articolazione esistente tra le classi dominanti e i loro
rappresentanti politici e intellettuali, la borghesia e i suoi alleati
si sbarazzano dei loro portavoce tradizionali e cercano una figura
provvidenziale che permetta di affrontare le sfide del momento.
IN
QUESTO CASO le classi dominanti brasiliani si propongono di portare a
compimento il “golpe” attuato due anni fa con Temer e che l’attuale
presidente – e i suoi alleati conservatori – non sono stati in grado di
assicurare: mettere un punto finale all’”eredità” dei governi del Pt. E
iniziare un’epoca di neoliberismo con un presidente malleabile, che si
affida in materia economica a un Chicago boy col turbo, Paulo Guedes,
con una sola filosofia: privatizzare e privatizzare.
Di recente un
noto commentatore “liberal” ha affermato che in questa fase i nemici
della democrazia in America latina rischiano di essere i giudici (che in
Brasile hanno messo in galera Lula) e non i generali. E che questa
situazione rappresenta «un progresso» per il subcontinente. L’elezione
di Bolsonaro è una solenne smentita.