il manifesto 30.10.18
Brasile choc, Bolsonaro presidente. L’estrema destra si insedia al Planalto
La
rimonta non basta. Alla fine hanno prevalso l’odio per il partito di
Lula e il non voto, un misto di disincanto e indifferenza. Haddad
staccato di circa 10 milioni di voti. Le contraddizioni di un Paese
spaccato in tre: Psl, Pt e astensione
di Ariadna Dacil Lanza
RIO
DE JANEIRO Previsioni confermate, Jair Messias Bolsonaro del Partito
social liberale (Psl) il primo gennaio prossimo assumerà la carica di
presidente del Brasile. Più di 57 milioni di elettori hanno deciso così.
All’ex
militare sono andati il 55,13% dei voti, mentre il candidato del
Partito dei lavoratori (Pt) Fernando Haddad si è fermato al 44,87%,
ovvero poco più di 47 milioni di voti. La giornata elettorale ha visto
anche l’elezione di 14 governatori. Gli altri 13 erano già stati
definiti al primo turno lo scorso 8 ottobre. Gli stati più rilevanti non
sono andati a nessuno dei due partiti che si sono disputati il secondo
turno presidenziale.
NEL GIORNO DEL VOTO, percorrendo le strade di
Rio e conversando con le persone non era difficile far emergere i
molteplici punti di vista sul Brasile di oggi e sul significato del
sostegno a un candidato piuttosto che a un altro.
Di Rio de
Janeiro tutti «dicono che è bella ma violenta». I suoi abitanti,
indipendentemente dal colore politico, avvertono che «bisogna stare
attenti». Non tutti mettono in relazione il fenomeno della violenza con
ciò che si vede nelle strade e il fenomeno dilagante dei senzatetto che
dormono dove possono.
Montero un lavoro e un tetto ce l’ha. 32
anni, studia e viaggia in treno ogni giorno per più di un’ora per andare
a lavorare come cameriere. Dice che in Brasile «non c’è stata dittatura
militare, c’è stato un periodo militare, che è un’altra cosa, perché
non abbiamo avuto un dittatore» ed è convinto che i diritti del lavoro
«sono stati favoriti dai militari». Un altro mantra che ripetono tutti i
sostenitori di Bolsonaro è che «lui non è perfetto, ma è necessario un
cambiamento». Montero crede che se Bolsonaro «sbaglierà come è accaduto
con il Pt, dopo quattro anni lo si potrà cambiare».
LEONARDO È UN
POLIZIOTTO dell’esercito, oggi impiegato in compiti “burocratici”, dice
che gli piaceva il primo governo Lula, che quello di Dilma Rousseff per
niente ma che il suo errore è stato permettere che altri rubassero
nonostante lei non fosse coinvolta, e di essere stata manipolata. Ma
l’argomentazione finisce nella direzione opposta. Leonardo vota
Bolsonaro. Ma riconosce che uno dei problemi del candidato è «che parla
come potremmo farlo noi in un bar» e crede sia giusto favorire una
riforma pensionista, ma anche difendere i diritti del lavoro.
Due
donne, una delle due già con i capelli bianchi, camminano con due
adolescenti vestiti di rosso, con magliette piene di adesivi circolari
della lista 13 di Fernando Haddad e Manuela D’Avila. Una ha croce e
martello. Tutti hanno dei libri in mano. Eduardo Galeano, José Saramago e
Paulo Freire.
Un altro gruppo di quattro donne e un uomo
camminano a un isolato di distanza. Anche loro con libri e un colore
rosso dominante. Emir Sader, Leonel Brizola e nuovamente Galeano.
Docenti, commercianti, una giornalista e un medico. «Crediamo nelle
politiche di redistribuzione e nell’uguaglianza sociale» dicono
sorridendo.
foto di Gianluigi Gurgigno
Queste testimonianze
però non raccontano tutto. Va infatti menzionato il peso, molto
influente, di coloro che hanno deciso di fare un passo a lato. Il voto
nullo o la scheda bianca sono state la scelta di oltre 11 milioni di
elettori, e le astensioni hanno superato ancora una volta i 30 milioni.
foto di Gianluigi Gurgigno
I
numeri parlano di una società frammentata in tre parti. Tra i due poli,
giallo Psl e rosso Pt, ce n’è un terzo, nel quale il disincanto si
mescola all’indifferenza.
L’UOMO DI ESTREMA DESTRA che assumerà il
comando del Palacio del Planalto, così come aveva fatto al mattino,
quando recandosi a votare aveva ignorato i giornalisti, ha deciso di
chiudere la giornata senza indire una conferenza stampa. Ha continuato,
come ha fatto in tutta la campagna elettorale, a rifugiarsi nella sua
convalescenza (dopo l’aggressione di cui è rimasto vittima in piena
campagna) e nell’argomentazione che i mezzi di comunicazione distorcono
le sue parole.
In uno dei tre messaggi diffusi dopo la vittoria
elettorale, un video nel quale appare al fianco della terza moglie e
dell’interprete della lingua dei segni nella sua casa a Barra da Tijuca,
Bolsonaro ha detto di aver ricevuto una telefonata di Donald Trump. «Mi
ha augurato buona fortuna il presidente degli Stati Uniti», ha detto il
neo presidente eletto.
ANCHE MATTEO SALVINI, tra gli altri, non
si è fatto attendere. Via Twitter, ovviamente. Una sua foto con il
pollice verso l’alto ne affianca una di Bolsonaro: «Anche in Brasile i
cittadini hanno mandato a casa la sinistra!». Subito dopo gli auguri di
rito, Salvini evoca la cosa che sembra stargli a cuore più di ogni
altra, l’estradizione di Cesare Battisti: «E dopo anni di chiacchiere,
chiederò che ci rimandino in Italia il terrorista rosso Battisti».
In
questo senso Bolsonaro durante la sua campagna era stato più che
rassicurante, riaffermando il suo «impegno a estradare immediatamente,
in caso di vittoria, il terrorista Cesare Battisti, tanto amato dalla
sinistra brasiliana. Ma l’avvocato dell’ex militante dei Pac, Igor
Sant’Anna Tamasauskas, assicura che «Cesare Battisti lotterà per restare
in Brasile. Il Presidente della Repubblica, chiunque esso sia, deve
rispettare la decisione del Supremo Tribunal Federal (Stf) che impedisce
qualunque atto contro Cesare Battisti fino a quando non ci sarà una
decisione definitiva in merito».
MA LA GIUSTIZIA IN BRASILE sembra
essere minacciata dal clan Bolsonaro. Eduardo, uno dei figli dell’ex
militare, con quasi 2 milioni di voti si è consacrato alle elezioni
dello corso 7 ottobre come il deputato federale più votato nella storia
del Brasile. Giorni fa aveva affermato l’esistenza di una «disputa di
forze» tra il potere giuridico e le Forze Armate: «Se si volesse
chiudere il Tribunale Federale Superiore non ci sarebbe bisogno nemmeno
di una jeep, basterebbero – non me ne vogliano – un soldato e un
caporale».
NELLA VITA REALE, la retorica del rispetto, dell’Ordem e
Progreso, tanto invocata dai settori reazionari brasiliani, è molto più
palpabile di quanto non sembri dalle narrazioni sui social. Davanti
alla casa del presidente neoeletto, poco dopo le 21, i festeggiamenti
vanno poco a poco diminuendo. Incontro Vanessa che sta festeggiando con
musica e un bicchiere in mano, una giovane ragazza afrodiscendente con
indosso una maglietta che dice: «Negra con Bolsonaro». È la perfetta
sintesi delle contraddizioni che hanno caratterizzato la vittoria del
candidato del Psl: «Lui rispecchia il 90% dei miei desideri». Cioè
quali? «L’unione del popolo e l’idea che la popolazione debba essere
armata».
traduzione di Gianluigi Gurgigno