il manifesto 28.10.18
San Lorenzo antifascista per Desirée
Roma.
Una manifestazione lunga quattro giorni nel quartiere romano dove è
stata stuprata e uccisa la ragazza sedicenne. Anche l’Anpi è scesa in
piazza per fermare la strumentalizzazione delle destre
di Giansandro Merli, Giuliano Santoro
ROMA
È stato un pomeriggio lungo quattro giorni. Tanto è durata la
mobilitazione permanente che da mercoledì scorso, da quando Salvini ha
provato a fare passerella nel quartiere scosso dalla tragedia
dell’omicidio di Desirée Mariottini, è riuscita a cambiare di segno agli
automatismi mediatici innescati dal caso di cronaca. Si scende in
piazza e tutti insieme, cittadini e cittadine di diversa estrazione, si
misurano con gli spettri xenofobi evocati dall’omicidio. C’è stato il
momento della paura: per qualche ora sembrava che la scintilla che
incendia la prateria dell’odio si fosse diffusa e stesse per bruciare
tutto. Poi è successo qualcosa.
La svolta è arrivata venerdì
pomeriggio, quando questo territorio ha mostrato di non essere un mondo a
se stante e le donne hanno invaso le strade di San Lorenzo puntando il
dito contro la violenza di genere e smontando pezzo per pezzo la
strumentalizzazione delle destre. Fino al punto che persino uno dei
preti del quartiere ha comunicato la sua approvazione agli antirazzisti
che avevano contestato Salvini: «Avete detto bene, chi fa campagna
elettorale sulla pelle di una povera ragazza è uno sciacallo: non si
potrebbe definirlo in altro modo», è il messaggio che giunge dal
passaparola che dai credenti arriva ai manifestanti.
DA QUI SI
ARRIVA ALLA PIAZZA di ieri. In un primo momento era stata convocata per
rispondere alla manifestazione di Forza Nuova. Poi diventa qualcosa di
più, che sovrasta di cento volte, anche dal punto di vista numerico, i
trenta estremisti di destra schierati a Porta Maggiore, in mezzo al
nulla del traffico romano. «Questa è la Roma migliore – dice il
presidente provinciale dell’Anpi Fabrizio De Sanctis – Questa è la
città che ha ottenuto la medaglia d’oro al valore militare per i fatti
eroici della Resistenza. Roma ha combattuto strenuamente. Per i nazisti
Roma era metà partigiana e l’altra metà li sosteneva. Questa è stata,
questa è e questa sarà Roma. Non si possono tollerare le
strumentalizzazioni: le donne sono tutte uguali e gli aggressori sono
tutti uguali».
Dopo di lui interviene la partigiana Tina Costa, 92
anni. «Di fronte ai ragazzi che oggi si richiamano al fascismo io provo
sgomento – urla al microfono – Me la prendo con chi ha il dovere di
crescerli ed educarli. Devono conoscere e studiare le nostre radici».
DOPO
DI LEI È IL TURNO di Stefano Zarlenga, uno degli occupanti del Cinema
Palazzo di piazza dei Sanniti: «Non vogliamo essere confusi con quelli
che spacciano l’eroina. Se il palazzo in via del Lucani fosse stato
occupato invece di essere abbandonato, Desirée non sarebbe stata uccisa e
questa tragedia non sarebbe avvenuta», dice per rispondere a chi
vorrebbe usare gli eventi di questi giorni per sgomberare le occupazioni
romane. Poi racconta delle proposte che erano state fatte per riempire
il vuoto nel quale è stata risucchiata una giovane vita: «Dal 2005 il
quartiere aveva elaborato un piano di trasformazione di quello spazio,
ma nessuno, da allora a oggi, lo ha ascoltato».
Filippo Miraglia,
dell’Arci, racconta: «La vicenda di Desirée, che ha l’età dei miei
figli, ci spinge a pensare che nonostante negli ultimi anni sia
cresciuta la repressione, la sicurezza non c’è. Con questa nuova legge
sulla legittima difesa, aumentano le armi in mano alle persone. Senza
vere soluzioni, la tensione che si crea avrà come conseguenza la
moltiplicazione delle situazioni di conflitto. Utilizzano il disagio per
raccogliere il consenso. Salvini fa di questo un’arte e noi non
possiamo che opporci».
«LA VIOLENZA LA FANNO gli uomini e non ha
passaporto – insiste Serena Fredda di Non una di meno – Forza Nuova
minaccia di attraversare le strade del quartiere antifascista, perché
secondo loro i padri dovrebbero difendere le loro figlie bianche. Non
abbiamo bisogno di uomini forti che ci difendano. La speculazione sul
corpo di Desirée ci disgusta. Dobbiamo fermare lo sciacallaggio dei
fascisti che usano il nostro corpo. Ci difendiamo da sole con le nostre
idee e i nostri progetti, costruendo reti, spazi e agibilità politica.
Il nostro corpo non è una merce».
C’erano anche alcune donne
argentine, attiviste del movimento Ni Una Menos che ha innescato il
movimento globale delle donne. «Ogni volta si cerca di nascondere
l’identità di chi commette violenza. Attraverso la classe sociale o la
razza. Ma noi sappiamo che la violenza la commettono gli uomini. Migrare
è un diritto umano. Desirée non è stata uccisa dalle migrazioni, ma dal
patriarcato», dicono. Intorno a loro i pañuelos, i fazzoletti verdi e
fuxia per l’aborto libero e contro i femminicidi. Due battaglie
complementari per la libertà di autodeterminazione delle donne. «Il
pañuelo è un simbolo che abbiamo adottato dalle madri di Plaza de Mayo. È
un simbolo globale che parla di antifascismo, antisessismo e
antirazzismo. È un simbolo di libertà e autodeterminazione», spiegano.
Quando
gli interventi al microfono si esauriscono, arriva un boato da un lato
della piazza. Qualcuno si allarma, le teste di girano. Sono centinaia di
persone che salutano cantando «Bella Ciao» e che fino a quel momento si
erano sparpagliate per il quartiere, per presidiarne i varchi e
impedire che i fascisti pensassero di entrare da qualche parte. Un
applauso collettivo li saluta, la piazza si scioglie in un sorriso. San
Lorenzo si sente più libera dalla paura.