Il Fatto 28.10.18
Non essere cattiva, Desirée
La provincia dell’adolescenza
“Avevo un lato dolce… ma l’ho mangiato” – È uno dei post che Desirée ha scritto sul suo profilo Facebook
di Enrico Fierro
I
ragazzi sono appollaiati al buio su quella costruzione stramba di
acciaio e plastica. Una scala che finisce su una specie di piattaforma.
Bizzarrie di un architetto americano. “Da queste scale – mi racconta un
commerciante che sta per chiudere il suo negozietto di alimentari –
scendevano le modelle delle sfilate di moda”. Lussi semplici, non erano
delle moderne Wanda Osiris, ma belle ragazze dell’Agro che indossavano
ricchi costumi da sposa. Ora solo buio e le solite stanche, inutili
promesse e progetti di riqualificazione urbana per una piazza che stenta
finanche ad avere un nome: piazza Amedeo di Savoia, piazza taxi, no
piazza viola. Pochi metri oltre, le luci di “Randy kebab”,
“Stuzzicheria” e “Medirock wine bar”, illuminano il marciapiede. Qualche
tavolino, pochi ragazzi seduti a mangiare. Quelli sulla piattaforma
chiacchierano. Fumano e si raccontano. “Desirée non la conoscevo. Ho
letto che si faceva, che andava a Roma, che usava roba pesante.
Pasticche, eroina, cose che puoi trovare anche qui, in zona. Noi,
intendo il mio gruppo, fumiamo solo erba. Ogni tanto”. Il ragazzo che
decide di scambiare due chiacchiere ha pochi anni più di Desirée. Felpa
nera e testa avvolta nel cappuccio. Cerco di capire da lui come si vive a
Cisterna di Latina, come vive la sua vita un ragazzo con i suoi sogni,
le sue fragilità, la sua rabbia. Mi guarda, sbuffa e risponde: “Qui si
vive con la speranza di scappare, di andar via. All’estero ma anche a
Roma, dovunque si possa rompere questa noia che ti soffoca. Prendi il
treno, ‘na mezz’oretta e sei nella Capitale e il mondo è tuo”. Ride, il
ragazzo con la felpa. A pochi metri, seduti sulle panchine attorno alla
fontana Biondi, dallo scultore che nel 1890 diede corpo alla bella
Ninfa, maestosa mentre impugna un ramoscello di ulivo, ci sono gli
anziani con le loro badanti bulgare. “Domenica faremo una grande
fiaccolata per quella povera ragazza, ci saremo tutti con le candele e
il cuore. Povera figlia!”. Vecchi e giovani. Due solitudini in questa
città che a passi veloci si avvia a essere una triste appendice
metropolitana di Roma.
Cisterna di Latina. Nessun cinema, tanti palazzi e qualche villetta, una panchina. Il quartiere di Desirée, San Valentino
Cisterna
di Latina, città del kiwi, delle fabbriche e di antichi butteri che
qualche schiaffo, narra la leggenda, lo diedero anche a Buffalo Bill.
Città sempre in crescita vertiginosa. Ventottomila abitanti nel 1981, 31
mila nel ’91, 32 mila nel 2001, 35 mila dieci anni dopo. Agricoltura,
fabbriche e affitti sostenibili attirano gente dalla Capitale. Antonio
Pennacchi, lo scrittore dell’Agro vincitore di un Premio Strega,
ambientò qui uno dei suoi racconti di operai e rabbia, Shaw 150. Il
quartiere San Valentino, dove Desirée ha vissuto la sua breve vita, e
dove vivono il padre, la madre e i nonni che l’avevano in protettivo
affidamento, è il più grande della città, con i suoi settemila abitanti.
Palazzi dell’Ater (edilizia popolare), ma anche villette a schiera.
Proletariato, sottoproletariato e piccola borghesia. Tanto verde e
nient’altro. Poche luci. Alle nove di sera anche quelle del bar vengono
spente. C’è la guardia medica e una pubblicità che inneggia al Roipnol,
un farmaco contro l’insonnia che spesso viene usato per sballarsi. Di
fronte, il Centro polivalente, una bella struttura abbandonata da almeno
tre anni. C’erano sale per concerti, spazi per i giovani, punti di
ascolto. Tutto chiuso per i soliti inenarrabili motivi burocratici. Solo
una luce è accesa, quella del centro per anziani. Ci parla il signor
Alvaro. “Ci riuniamo qui, giochiamo a bocce, a carte, mangiamo una
pizza. La nuova amministrazione comunale ha promesso che riaprirà il
centro. Speriamo”.
Intanto, tutto è chiuso e i ragazzi del
quartiere per andare a passare un po’ di tempo sono costretti a
scavalcare muri e cancelli. Il resto è una panchina, la scuola di danza
privata dove ballare zumba e balli latinoamericani, la palestra privata
per farsi i muscoli, il campo da calcio gestito da società sportive.
Altro non c’è. Neppure un cinema. I 35 mila cisternesi non hanno il
diritto di sedersi in una sala al buio e godersi un film. È la provincia
italiana sempre in bilico tra isolamento e rischio di essere
schiacciata dalla metropoli. Ha ragione Andrea Di Consoli, quando nel
suo bel romanzo La collera (Rizzoli 2012), scrive che tra case e palazzi
come questi dove si vivono esistenze scollegate l’una dall’altra e
senza più alcun senso di comunità, “l’anima si riduce a corpo”.
“Avevo
un lato dolce, ma l’ho mangiato”, scrive la piccola Desirée in un
ingenuo post su Facebook. E inconsapevolmente, forse, ci rivela i
tormenti della sua vita difficile. Una madre che da bambina appena
cresciuta ha dovuto sopportare il peso della maternità. E da giovane
donna non ce l’ha fatta a capire la sofferta ribellione di sua figlia.
Che oggi chiede “giustizia per Desirée: voglio che questa tragedia non
accada ad altre ragazze”. Un padre sbandato, uno che morde il mondo e
che le cronache giudiziarie raccontano come un boss dello spaccio,
proprio a San Valentino. Pure lui, affidandosi al Messaggero, parla.
“Non sono riuscita a tenerla lontano da quelli come me”. E i nonni,
l’ultima spiaggia. Una coppia perbene, villetta nel verde di via Procida
nello stesso quartiere. Lei funzionaria del ministero di Grazia e
Giustizia, lui sindacalista apprezzato in città. La famiglia non ce l’ha
fatta a salvare Desirée. E insieme a loro il Sert (il centro contro le
dipendenze che è ad Aprilia), gli assistenti sociali, il Consultorio che
a Cisterna non c’è, il Comune, la scuola. Lo Stato. “La verità – dice
allargando le braccia al cielo don Livio, l’anziano parroco del
quartiere – è che questi ragazzi sono soli. Non parlano, ti chiedono
aiuto con gli occhi. Ma noi, i nostri figli non li guardiamo mai negli
occhi”.
Lo psicologo: “Gli adolescenti oggi si sballano per colmare vuoti, cercano visibilità e non rifuggono il senso di inadeguatezza”
“L’adolescenza
è un periodo della vita terribile, soprattutto nel mondo di oggi”. Il
dottor Rosario Capo, direttore della scuola di specializzazione in
psicoterapia psicosomatica dell’ospedale Cristo Re di Roma, da anni si
occupa di ragazzi difficili. “Alcuni adolescenti sono più impulsivi di
altri. Hanno una bassa tolleranza alla frustrazione, in parte congenita,
in parte dovuta a esperienze conflittuali. Nella droga vedono una via
d’uscita per governare questi impulsi emotivi che gli altri non riescono
neppure a comprendere. Sballarsi, come si dice, serve a colmare vuoti
esistenziali terribili. Anche la ricerca del brutto, del buco nero dove
precipitare, e non solo in termini metaforici, fa parte di questo
meccanismo, essere fuori dalle regole, avere visibilità sociale,
sfuggire alla massa che ci giudica inadeguati. E lo spacciatore diventa
un amico, uno che mi capisce col quale ho affinità. Questi ragazzi hanno
bisogno di adulti forti e gentili, altrimenti vivono in un vuoto di
presenza e di gioie e nessuno li aiuta a capire e progettare il futuro”.
Lo
specialista parla dei ragazzi in generale e a noi vengono in mente le
scene che abbiamo visto in via dei Lucani a San Lorenzo. Quella fogna
dell’umanità dove Desirée ha vissuto la sua via crucis. La droga che
l’ha uccisa. L’umiliazione di sé e del suo corpo. Le grida ubriache e
sguaiate di chi ha abusato di lei. E l’ultima violenza, il suo corpo
straziato, la sua storia, le sue fantasie, i turbamenti e i sogni di
bambina che si credeva già donna, i silenzi, l’indifferenza di chi gli
stava accanto, la triste impotenza di una famiglia che non ce l’ha
fatta. Tutto questo usato per la politica, quella bassa e volgare, per
dare altra legna al fuoco di campagne di odio, per protagonismi
televisivi, per il vomitevole chiacchiericcio sui social.
Tutti
oggi sanno di lei, il suo volto è già stampato sulle magliette, tutti
oggi hanno bocca per parlare e parole da dire. Nessuno, ieri, aveva
occhi e cuore per capire il suo disperato grido d’aiuto. La famiglia no.
Non ce la fa, non ce la facciamo. E poi lo Stato con il suo welfare
morente: chi si occupa dei nostri ragazzi? “Il sistema Paese, come si
dice, usa gli adolescenti come target per campagne pubblicitarie e
prodotti da consumare. È indifferente alle loro esigenze, non c’è
nessuna connessione tra psicologia evolutiva e clinica e la formazione
delle leggi che regolano il sistema educativo e formativo. Gli sportelli
per l’ascolto nelle scuole non funzionano, sono una farsa nella maggior
parte dei casi. Spesso sono affidati a giovani laureati in Psicologia
pagati pochissimo o nulla. I servizi per l’età evolutiva hanno sempre
meno risorse”. È l’analisi disperante che ci consegna il dottor Capo.
Le
sue parole ci risuonano in testa mentre inizia la notte di Cisterna di
Latina. I ragazzi sulla piattaforma a parlare, parlarsi e scrutare i
telefonini. I loro coetanei sulle panchine del Valentino. Tra poco
torneranno a casa, stanchi e vinti dalla noia posteranno un “buonanotte”
su FB. Soli con le loro vite. Desirée, che non voleva perdere la sua
dolcezza, è morta e ci lascia un messaggio semplice e forte: siamo morti
con lei, un Paese che non sa occuparsi dei suoi giovani è morto, e non
lo sa. Il resto è la lenta agonia di urla, invocazioni di ruspe e
castrazioni chimiche, tweet e post rabbiosi, tv del dolore. Il resto è
una Italia senza pietà.