il manifesto 25.10.18
Aiuto al suicidio, la Consulta scarica sul Parlamento
Dj
Fabo, processo a Marco Cappato . La Corte costituzionale dà un anno di
tempo al legislatore per modificare la norma contenuta nell'articolo 580
c.p. introdotto nel nostro ordinamento in epoca fascista
di Eleonora Martini
Con
una decisione senza precedenti, la Corte Costituzionale ha dato un anno
di tempo al Parlamento affinché legiferi su eutanasia e aiuto al
suicidio, rinviando al 24 settembre 2019 il verdetto di
incostituzionalità (di fatto già anticipato) sull’articolo 580 c.p.
introdotto nel nostro ordinamento in epoca fascista, con il Codice
Rocco.
Un pronunciamento – arrivato dopo parecchie ore di camera
di consiglio – che a memoria di costituzionalista non era mai stato
emesso prima dalla Consulta, e che lascia trapelare la difficoltà di
trovare unanimità di giudizio tra i quindici membri della Corte.
«L’attuale
assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela
determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da
bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti – si legge sul
comunicato della Consulta che anticipa l’ordinanza – Per consentire in
primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina,
la Corte Costituzionale ha deciso di rinviare la trattazione della
questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale,
sull’aiuto al suicidio, all’udienza del 24 settembre 2019».
Va da
sé che fino a quel momento, almeno, si sospende il processo a Marco
Cappato, imputato davanti alla Corte d’Assise di Milano per aver
accompagnato in Svizzera a morire dj Fabo. Sono stati infatti gli stessi
giudici milanesi a rinviare alla Consulta la norma che vieta l’aiuto al
suicidio, considerandola inapplicabile in quanto superata dal diritto
attuale che riconosce la libertà di lasciarsi morire rifiutando le cure.
Le
pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini, in dibattimento, avevano infatti
chiesto l’archiviazione delle indagini su Cappato (che si era
autodenunciato per l’aiuto non negato a dj Fabo) o in subordine
l’illegittimità costituzionale dell’art. 580. In questo contesto,
secondo Cappato e secondo l’avvocata Filomena Gallo che ha coordinato il
pool di legali costituzionalisti, anche il giudizio della Consulta va
letto come «un risultato straordinario», «un successo». Perché «dà un
anno di tempo al Parlamento per fare ciò che chiedevamo da 5 anni», da
quando cioè i leader dell’associazione Luca Coscioni depositarono la
proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare l’eutanasia.
Legge che nel frattempo ha raccolto 130 mila firme.
Cappato, che
ieri sera ha improvvisato una conferenza stampa davanti Montecitorio, ha
ricordato di aver aiutato, insieme a Mina Welby e agli altri militanti
dell’Associazione, «650 persone a reperire informazioni per interrompere
le proprie sofferenze. Questa era la ragione della nostra disobbedienza
civile – ha precisato – e oggi è anche la richiesta della Corte
Costituzionale che chiede al Parlamento di assumersi le proprie
responsabilità».
Eppure la sentenza della Consulta, che è di fatto
un rimpallo di responsabilità verso il legislatore, solleva alcune
perplessità e pone alcune domande: cosa succede se il Parlamento avvierà
l’iter legislativo per modificare l’art. 580 c.p. appena prima dello
scadere dell’anno previsto dalla Corte? Potrà la Consulta a quel punto
pronunciarsi mentre è in itinere una legge ad hoc? E ancora: chi avrà la
responsabilità delle sofferenze causate per un anno da una norma che i
giudici costituzionaliti hanno già preannunciato come incostituzionale?
Forse
è su queste domande che riflettono anche i Radicali italiani che
esprimono «rammarico per il rinvio della decisione della Consulta» che
avrebbe invece «potuto risolvere la questione defascistizzando il codice
penale» nel rispetto «della Costituzione repubblicana e dei trattati
internazionali sottoscritti dall’Italia che assicurano piena
autodeterminazione della persona».