il manifesto 25.10.18
La vocazione al suicidio delle classi dirigenti italiane
Il
riformismo scolastico neoliberista. Da tempo si preparano i presupposti
culturali per fornire al suicidio nazionale i mezzi più adatti a
realizzarsi. Si pensi al bando della geografia nell'insegnamento
scolastico o all'abolizione del tema di storia dagli esami della
maturità, una vera mutilazione culturale decisa dal Miur
di Piero Bevilacqua
Credo
di poter dire che in nessuna fase storica, per lo meno in età
contemporanea, le classi dirigenti italiane e soprattutto il suo ceto
politico, abbiano manifestato una così accanita volontà di
autodistruzione, un tanto esplicito “istinto di morte”, come accade da
noi da alcuni anni.
I segni di questa china del nostro paese verso
il suicidio sono evidenti e molteplici. Il primo e più clamoroso è la
lotta senza quartiere contro la gioventù. Un paese di vecchi, dove
nascono sempre meno bambini e sempre più anziani diventano inabili a
badare a se stessi, offre alle nuove generazioni un avvenire di
disoccupazione e lavori precari, semina la strada di mille ostacoli per i
ragazzi che vogliono accedere all’università, costringe le migliori
intelligenze a cercare fortuna in giro per il mondo.
Un paese che
si va spopolando, che vede cadere in stato di abbandono cittadine e
villaggi, terreni agricoli e boschi, fa la guerra contro la gioventù
povera del Sud del mondo, i migranti che approdano sulla Penisola e che
potrebbero farli rinascere. Com’è accaduto a Riace. Un paese che ha
conseguito tardi e con tanti sacrifici la sua unità, la più importante
conquista della sua storia moderna – per citare l’opinione di uno
storico non certo della nostra parte, come Rosario Romeo – comincia ad
avviare concretamente, con l’autonomia fiscale e di altre materie del
Veneto, il processo della sua decomposizione.
Nel frattempo queste
classi dirigenti vanno da tempo preparando i presupposti culturali per
fornire al suicidio nazionale i mezzi più adatti a realizzarsi. Si pensi
al bando della geografia nell’insegnamento scolastico. In qualunque
scuola del mondo una simile scelta apparirebbe di una assurdità
clamorosa, nel momento in cui la geografia del globo, coi suoi movimenti
di popoli, le catastrofi naturali, gli sconvolgimenti climatici, entra
quotidianamente nelle nostre case.
Ma in Italia l’emarginazione di
questa disciplina corrisponde a una vera mutilazione culturale. Nessun
paese d’Europa, a eccezione in parte dell’Olanda, dipende come il nostro
dai caratteri e dalla salute del suo territorio. Dalle Alpi alla
Sicilia, in un tratto di 1200 km, non c’è nazione che possa vantare la
varietà di habitat, di climi, di orografia, di piovosità, di regimi
fluviali, di natura dei terreni, quanto l’Italia.
Da questo
“mosaico di territori” nasce, insieme alla nostra originalissima storia,
l’unicità mondiale delle nostre agricolture e dunque delle nostre
cucine. Le nuove generazioni non devono conoscere i caratteri originali
dei paese in cui vivono e che tanto concorre alla sua condizione
presente?
L’ultimo atto di questa svagata strategia di mutilazione
culturale è stata la decisione del Miur di abolire il tema di storia
dagli esami della maturità. Un invito esplicito ai nostri ragazzi a
mettere da parte questa disciplina nel percorso dei loro studi,
finalizzato sempre più alla sua verifica finale. Al posto del tema di
storia una prova sui problemi del presente. Troppo grandi e pressanti
sono le questioni che urgono oggi per dover perdere tempo con fatti e
vicende di anni ormai trascorsi e lontani.
Si tratta di una
decisione che costituisce il distillato del processo di
“modernizzazione” messo in atto da tempo dal riformismo scolastico
neoliberista, non soltanto italiano. La scuola deve stare “al passo coi
tempi”, cioè deve essere inglobata nei meccanismi dello sviluppo
economico, diventare congruente e propedeutica al mercato del lavoro,
immersa nei flussi e nei paradigmi della società dell’informazione e
dello spettacolo. E questa è una conquista? L’emarginazione della storia
e lo stare schiacciati sull’oggi offre alle nuove generazioni le chiavi
per districarsi nel presente, per aprirsi alla visione delle correnti
profonde che attraversano i nostro tempo, indicandole i compiti
dell’avvenire?
Senza la storia, senza la profondità prospettica
del passato, il presente si staglia come un fenomeno naturale,
l’immobile e unica realtà possibile, una rappresentazione senza cause e
senza autori. Nessuno può comprendere come e perché siamo arrivati sin
qui e nessuno può scorgere vie d’uscita per il futuro. Non posso a
questo punto non pormi la domanda:ma non costituiva una conquista già
acquisita l’idea che senza la conoscenza storica, senza l’alterità dei
mondi che sono già stati, senza la consapevolezza che ogni presente non è
che un processo transitorio, un manufatto umano, nessun progetto di
società è possibile? Forse le classi dirigenti vogliono convincere le
nuove generazioni che il caos stupido e feroce che esse non sanno più
governare sia l’unico mondo possibile.