il manifesto 24.10.18
Costituzione e clemenza, idee controcorrente
Fuoriluogo.
L’Italia non è affatto il paese delle ricorrenti misure facili
“svuotacarceri”. O meglio, non lo è più, come spiega il volume curato da
Stefano Anastasia, Franco Corleone e Andrea Pugiotto
di Grazia Zuffa
Ooggi
su amnistia e indulto, in tempi in cui il carcere, inteso sempre più
come il luogo principe per pene lunghe e certe, domina la scena politico
mediatica e l’immaginario popolare. E dove la clemenza e i suoi
istituti sono vissuti non come strumenti della giustizia, ma come
simbolo di iniquo affronto alle vittime. La tematizzazione
controcorrente è il primo pregio del volume appena uscito, Costituzione e
clemenza. Per un rinnovato statuto di amnistia e indulto, curato da
Stefano Anastasia, Franco Corleone e Andrea Pugiotto (Ediesse, euro18),
che raccoglie gli atti del convegno promosso dalla Società della Ragione
nel gennaio scorso. Controcorrente è anche la ricostruzione della
storia dell’amnistia e indulto, in opposizione alla percezione
dominante: l’Italia non è affatto il paese delle ricorrenti misure
facili “svuotacarceri”. O meglio, non lo è più.
Se fino agli anni
novanta sono stati frequenti i provvedimenti di amnistia e indulto
(ventitré, dal 1948 al 1992), da quell’anno si sono bruscamente
interrotti (con la sola esclusione dell’indulto del 2006). E neppure
l’amnistia è stata concessa quando sarebbe stata assolutamente
necessaria per ripristinare la legalità. È il caso della sentenza della
Corte Costituzionale del 2014 sulla legge delle droghe, che ha reso
illegittime migliaia di condanne erogate sulla base delle norme
abrogate: ciononostante, i condannati sono rimasti in carcere in assenza
della misura di clemenza.
Quali le ragioni dell’eclissi degli istituti di clemenza?
L’analisi
proposta si snoda attraverso due assi principali. Il primo
approfondisce la normativa e gli effetti inibenti della riforma del 1992
dell’art. 79 della Costituzione, che ha affidato unicamente al
Parlamento la decisione, pretendendo una maggioranza dei due terzi. Un
quorum così alto da consentire paralizzanti veti incrociati e impedire i
provvedimenti di clemenza (Pugiotto). Da qui la proposta di modifica
costituzionale e il dibattito, di cui il testo dà ampiamente conto.
Il
secondo asse di analisi si concentra sul limite politico culturale, più
che istituzionale, alla base della “sterilizzazione” degli istituti di
clemenza: individuandolo nell’eccesso di penalizzazione del sistema,
appesantito dai molti recenti giri di vite (dalla stabilizzazione del
regime speciale carcerario del 41bis nell’ordinamento penitenziario, ai
tanti “pacchetti sicurezza”, dall’inasprimento delle pene, alla
incessante produzione di nuovi reati (Azzariti, Flick). Alla base
dell’impasse, «la completa abdicazione da parte degli attori politici
del loro ruolo, che non è quello di “seguire” una presunta volontà
popolare, bensì quello di assumere su di sé una precisa responsabilità
culturale in nome della Costituzione» (Grosso).
Le due letture
trovano una convergenza nel giudizio circa la necessità della clemenza
come strumento di politica criminale, per bilanciare gli eccessi
possibili del principio di legalità penale; evocando perciò una
iniziativa a tutto campo, sul piano giuridico e politico culturale.
(Anastasia, Corleone).
Oltre alle proposte di modifica delle
procedure e del quorum, si delinea il rilancio di una “nuova narrazione”
della clemenza: agganciandola strettamente all’art.27 della
Costituzione, che vieta trattamenti «contrari al senso di umanità».
L’esempio più immediato è quello del sovraffollamento, con gli effetti
“degradanti” già denunciati dalla Cedu. In questo caso, l’amnistia
riporterebbe la detenzione nell’ambito della legalità.
Come
costruire nel senso comune una nuova visione della clemenza? Si può dire
che questo testo inaugura il cantiere, per una battaglia culturale
controcorrente di lunga lena. Non a caso è richiamato nelle ultime
pagine il monito di Pierpaolo Pasolini a «continuare imperterriti,
ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi
col diverso».