il manifesto 24.10.18
Abbandonati da tutti, via dall’Honduras di Joh
La
ultima frontera. Da cosa fugge la carovana dei migranti partita il 13
ottobre da San Pedro Sula, in Honduras, e arrivata domenica nel Chiapas,
in Messico
di Claudia Fanti
Ha percorso già più
di 700 km a piedi la carovana dei migranti partita il 13 ottobre da San
Pedro Sula, in Honduras, e arrivata domenica nel Chiapas, in Messico,
dove si trova da un paio di giorni, in attesa di capire se proseguire
per altri 1.800 chilometri fino al confine con gli Stati uniti.
In
ogni caso, quale che sia la destinazione finale, l’impresa a cui ha
dato vita la carovana dei migranti aggiunge una nuova pagina all’eroica
lotta del popolo honduregno. Di fronte agli abusi di un regime che, dal
colpo di Stato del 2009 contro Manuel Zelaya, si è tenuto stretto il
potere con ogni mezzo possibile, quel popolo aveva già dato vita lo
scorso anno a una protesta senza precedenti: per circa due mesi – in
risposta alla spudorata frode elettorale orchestrata, alle presidenziali
del 26 novembre 2017, contro il candidato dell’Alleanza di opposizione
alla dittatura Salvador Nasralla – la gente si era riversata in strada
per mandare a casa il presidente golpista Juan Orlando Hernández, detto
Joh, senza lasciarsi scoraggiare da repressione, arresti e neppure dagli
omicidi (almeno una quarantina).
Una lotta in difesa della
democrazia in cui, tanto per cambiare, il popolo era rimasto solo, dal
momento che l’Organizzazione degli Stati americani si era ben guardata
dall’adottare misure drastiche contro il governo illegittimo, tanto più
dopo il riconoscimento della «vittoria» di Hernández da parte degli
Stati uniti. E neppure aveva potuto contare su dirigenti
dell’opposizione dotati di altrettanto coraggio e disposti a guidare
l’insurrezione contro la dittatura: nel pieno della lotta, Nasralla si
era arreso e lo stesso Zelaya aveva finito per retrocedere. Con le
conseguenze più ovvie: la criminalizzazione di ogni protesta e il
neoliberismo più selvaggio.
Non sorprende allora che, quando la
notizia della carovana si era diffusa via whatsapp, l’iniziale gruppo di
160 persone era cresciuto di circa dieci volte in un lampo: erano in
1600, tra uomini, donne, giovani, vecchi, bambini e addirittura persone
sulla sedia a rotelle, a partire a piedi dal terminal degli autobus di
San Pedro Sula, alle cinque e mezza del mattino del 13 ottobre. Per poi
diventare più di 7000, con aggiunte provenienti anche da El Salvador e
dal Guatemala, all’arrivo nella città di Tapachula.
Quello che ora
chiedono i migranti è il riconoscimento del loro status di rifugiati,
in fuga dalla catastrofe economica e sociale provocata dal criminale
regime di Joh. Quello che intanto hanno ottenuto è di sferrare, ancora
una volta, un enorme colpo alla credibilità del suo governo, ancor più
indebolito dall’infuriata reazione di Trump. Il quale, dopo averlo
mantenuto al potere malgrado le frodi, potrebbe ora decidere anche di
scaricarlo, annunciando nel frattempo il taglio degli aiuti a Honduras,
Guatemala ed El Salvador, colpevoli di non essere riusciti a impedire la
partenza dei migranti. E questa, per il popolo honduregno, potrebbe
essere, chissà, una buona occasione per rilanciare la lotta sociale e
politica.