il manifesto 23.10.18
Cucchi, indagato un ufficiale per il depistaggio nell’Arma
Giustizia.
Accusato di falso, il tenente colonnello Luciano Soligo, allora
comandante della compagnia Talenti Montesacro. Il pm indaga sulla
riunione al vertice dove, secondo Repubblica, si decise come insabbiare
il pestaggio
di Eleonora Martini
Nel giorno del
nono anniversario della morte di Stefano Cucchi, ieri, dalla procura di
Roma è arrivata la notizia del primo ufficiale dei carabinieri indagato
per il depistaggio delle violenze subite nella notte tra il 15 e il 16
ottobre 2009 dal 31enne romano mentre veniva arrestato per spaccio. È il
tenente colonnello Luciano Soligo, allora comandante della compagnia
Talenti Montesacro dalla quale dipendeva la stazione di Tor Sapienza
dove Cucchi è stato portato per il fotosegnalamento, già dolorante e
pieno di evidenti segni sul viso e sul corpo, senza che le sue
condizioni di salute comparissero poi sui verbali. In questo senso
arrivò infatti un «ordine gerarchico», secondo quanto testimoniato
durante il processo bis dal carabiniere scelto Francesco Di Sano che il
17 aprile scorso ha ammesso di aver dovuto ritoccare il rapporto stilato
quella sera.
IL MAGGIORE SOLIGO si aggiunge alla lista dei
militari accusati di falso ideologico per effetto del nuovo filone di
inchiesta integrativa al processo bis avviata nel giugno scorso: oltre a
Di Sano, risultano indagati il luogotenente Massimiliano Colombo
Labriola, allora comandante della Stazione Tor Sapienza, e tre dei
cinque imputati, il maresciallo Roberto Mandolini, allora a capo dello
stazione Appia, Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco, il carabiniere
che ha accusato del pestaggio i suoi due colleghi e co-imputati Alessio
Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Questo secondo filone di inchiesta
ha trovato riscontri proprio nella denuncia depositata nel giugno scorso
da Tedesco nella quale, tra le altre cose, il carabiniere riferiva la
scomparsa dell’annotazione di servizio con la quale il 22 ottobre 2009,
appena appresa la morte di Cucchi, aveva deciso di denunciare quanto
avvenuto la notte dell’arresto.
A tirare in ballo il primo
ufficiale dell’Arma coinvolto in questa storia, il tenente colonnello
Soligo, sarebbe stato il luogotenente Colombo Labriola ascoltato il 18
ottobre scorso per oltre sette ore dai magistrati a Piazzale Clodio e il
cui interrogatorio è stato secretato dalla procura.
Ma il pm
romano Giovanni Musarò sta cercando di risalire ulteriormente la scala
gerarchica dell’Arma per appurare fin dove è arrivata la connivenza con
il depistaggio, e quale limite abbiano trovato all’interno del Corpo dei
carabinieri le «mele marce» che tentarono di insabbiare le torture
subite da Stefano Cucchi. La procura però ha smentito che tra gli
indagati ci siano tutti coloro che, secondo un articolo apparso ieri su
Repubblica, coprirono le operazioni di insabbiamento con una riunione
svoltasi il 30 ottobre 2009 «negli uffici del generale di brigata e
allora comandante provinciale di Roma Vittorio Tomasone (oggi generale
di corpo d’armata e comandante interregionale dei Carabinieri “Ogaden”
di Napoli con competenza su Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo e
Molise)». Riunione di cui, secondo Repubblica, non esiste verbale. E che
si rese necessaria per costruire «una narrazione in grado di imputare i
segni di quella violenza alla magrezza costituzionale del “tossico”,
alla sua epilessia».
OLTRE A TOMASONI – scrive Carlo Bonini – quel
giorno c’erano i già citati marescialli Mandolini e Colombo Labriola,
«l’allora comandante del Gruppo Roma, il colonnello Alessandro Casarsa
(oggi comandante del reggimento corazzieri del Quirinale) e i due
ufficiali che a lui gerarchicamente erano sotto-ordinati quali
comandanti di compagnia: il maggiore Luciano Soligo e il maggiore Paolo
Unali (allora comandante della Compagnia Casilina)». Tomasone, Cararsa e
Unali, che non risulterebbero tra gli indagati, verranno sentiti invece
come testimoni in una delle prossime udienze – probabilmente a gennaio –
del processo che si tiene davanti alla Prima Corte d’Assise.
Una
notizia che è stata accolta con «rabbia, dolore ed amarezza» da Ilaria
Cucchi che nei giorni scorsi ha riferito di avere paura per l’impennata
di insulti e minacce (mai perseguitati e puniti) che si registra negli
ultimi giorni sui social, «soprattutto da parte di simpatizzanti della
Lega». «Falsi ordinati per far dire ai medici legali dei magistrati che
mio fratello era morto di suo, che era solo caduto ed in fin dei conti
non si era fatto niente. Era morto solo ed esclusivamente per colpa sua e
nostra», scrive la sorella della vittima su Fb aggiungendo che avrebbe
voluto l’Arma dei Carabinieri al loro fianco. «Ma ho negli occhi lo
sguardo del suo Comandante a lungo fisso su quelli di Fabio (l’avvocato
Anselmo, durante l’incontro con la ministra Trenta, ndr). Come quando ci
si sfida a chi abbassa prima lo sguardo. Non è ancora finita questa
storia dove una normale famiglia Italiana viene stritolata da uomini
delle istituzioni ma reagisce e resiste per nove anni senza mai perdere
fiducia in esse».
ALLA LUCE DI QUESTE ultime notizie, e man mano
che si annullano le possibilità di negare il coinvolgimento dell’Arma
nella morte di Stefano Cucchi, anche il ministro degli Interni Matteo
Salvini si è schierato contro gli hater: «I leghisti non minacciano e
non sono violenti – ha affermato sorvolando sulle offese scritte sul Fb
dalla vicesindaca leghista di Venezia, Luciana Colle – Nessuna
tolleranza per chi insulta e augura la morte. Invito Ilaria Cucchi e i
suoi familiari non solo a denunciare, ma a venirmi a trovare al
Ministero».