il manifesto 21.10.18
L’aspirina dei Neanderthal
Pleistocene.
Tracce di legno di pioppo ritrovate tra i loro denti lasciano supporre
che fosse noto l'effetto analgesico dell'acido acetilsalicilico. Senza
rudimenti di medicina, vista la loro sofferenza per ferite e traumi, più
alta di altri animali predatori, non sarebbero potuti sopravvivere per
duecentomila anni
di Andrea Capocci
Nell’Europa
del tardo pleistocene, un uomo o una donna di Neanderthal avevano a
disposizione molti modi per morire. Si poteva perdere la vita per il
freddo o di parto, aggrediti da una iena o pestati da un altro Homo, per
mancanza di vitamine o per un piccolo infortunio. Per una specie bipede
che cacciava animali grandi e pericolosi a piccoli gruppi, anche
rompersi un piede poteva diventare fatale.
PER LORO FORTUNA, i
Neanderthal avevano già inventato la medicina e il welfare, cioè
l’abitudine di prendersi cura l’uno dell’altro all’interno del gruppo.
Molti ritrovamenti fossili di Homo neanderthal riguardano individui con
problemi di salute gravissimi e tuttavia morti in tarda età. Da queste
scoperte, gli scienziati hanno dedotto che l’organizzazione sociale dei
Neanderthal prevedeva cure mediche per i più deboli. Nell’ultimo numero
della rivista Quaternary Science Review, una ricerca della paleontologa
Penny Spikins del suo gruppo di ricerca all’università britannica di
York analizza sessant’anni di ritrovamenti e dà una spiegazione della
nascita della medicina e della cura tra i Neanderthal.
Occuparsi
di un familiare malato oggi può sembrarci un gesto talmente naturale da
essere innato. Al tempo dei Neanderthal, invece, poteva costare la vita.
I Neanderthal vivevano in gruppi di poche decine di individui che si
spostavano spesso alla ricerca di cibo. Per nutrirsi, cacciavano animali
anche di grande taglia, intrappolandoli in avvallamenti e dirupi.
L’infortunio di un membro del gruppo avrebbe ostacolato gli spostamenti e
sottratto risorse preziose per la collettività.
D’altra parte, la
sopravvivenza di un membro anziano del gruppo permette la conservazione
e la trasmissione di conoscenze preziose da una generazione all’altra.
Inoltre, poter guarire dagli infortuni permette di adottare strategie
più rischiose. Una delle caratteristiche dei Neanderthal e della
mitologia che li circonda era proprio il loro avventuroso stile di vita.
Cacciavano a mani nude animali molto più grandi di loro, come mammut e
rinoceronti.
NE RISULTAVA un tasso di infortuni elevatissimo.
Secondo uno studio del giapponese Wataru Nakahashi del 2017, tra l’80 e
il 95% dei Neanderthal aveva sofferto in vita di ferite traumatiche di
varia gravità. Si tratta di una percentuale elevatissima se confrontata
con il tasso di infortuni rilevato in altre popolazioni di
cacciatori-raccoglitori, ma anche rispetto ad altri animali predatori,
come lupi o uccelli rapaci. Senza qualche rudimento di medicina, uno
stile di vita così pericoloso sarebbe stato suicida. Invece i
Neanderthal sopravvissero per circa duecentomila anni.
«Le cure
sanitarie sono normalmente interpretate come una pratica culturale
complessa senza una chiara funzione adattativa – spiega Spikins -.
Invece, molti esempi di cura della salute tra i Neanderthal erano poco
dispendiose e molto efficaci nel ridurre la mortalità».
OVVIAMENTE,
dopo decine di migliaia di anni i resti riguardano ossa e denti e le
informazioni che si possono ottenere riguardano soprattutto queste parti
del corpo. Ad esempio, nelle «cartelle cliniche» studiate da Penny
Spikins e colleghi figura il caso dell’iracheno «Shanidar 1» (i
Neanderthal prendono il nome dal luogo e dall’ordine cronologico del
ritrovamento), che soffriva nell’ordine di un arto paralizzato e
atrofizzato, un braccio fratturato e amputato, un’infezione alla
clavicola, una frattura del quinto metatarso, artrosi in vari punti, una
tibia deformata e varie lesioni sul cranio. Eppure, lo spericolato
«Shanidar 1» è morto a un’età compresa tra i 35 e i 50 anni, all’incirca
l’aspettativa di vita media di un iracheno degli anni ’60.
Secondo
la bioarcheologa Lorna Tilley dell’università di Canberra, questa
longevità si spiega anche con la capacità dei Neanderthal di calcolare
le probabilità di recupero prima di decidere se investire risorse del
gruppo nel tentativo di salvare un suo membro. Se l’individuo
infortunato non era in grado di muoversi autonomamente, il gruppo poteva
fermarsi per qualche tempo e occuparsi del malato fino al recupero.
Negli
ultimi dieci anni, i denti rinvenuti negli scavi hanno permesso di
compiere eccezionali scoperte sulle abitudini dei Neanderthal. Essendo
un organo decisivo per la sopravvivenza prima dell’invenzione del
frullatore, il genere Homo ha imparato a curarli molto prima di
Neanderthal: i primi interventi di odontoiatria risalgono a un milione e
mezzo di anni fa. Il dentifricio anti-placca, invece, è un’invenzione
molto più recente, per la fortuna dei paleontologi: nei depositi di
tartaro rimangono tracce preziose dell’alimentazione dei Neanderthal.
UNA
DELLE SOSTANZE più interessanti è stata identificata dalla microbiologa
Laura Weyrich che, nel 2017, ha analizzato i denti appartenuti ai
Neanderthal belgi e spagnoli. Oltre ai batteri responsabili di un
ascesso dentale, Weyrich ha trovato anche tracce del legno di pioppo.
Non essendo commestibile, l’ipotesi più probabile è che già all’epoca
fosse noto l’effetto analgesico dell’acido acetilsalicilico, il
principio attivo dell’aspirina e di cui il pioppo è ricco.
La
bassa incidenza delle infezioni tra i Neanderthal si spiega invece con
la capacità di curare le ferite. «Gli Inuit uccidono i lemming per usare
la pelle per proteggere le ferite – scrive Spikins -. I Neanderthal
potrebbero aver usato l’ocra come antisettico».
Infine, le
dimensioni del cranio e del bacino suggeriscono che anche tra di loro la
donna fosse assistita durante il parto. Avere un cervello di grandi
dimensioni, come avveniva nei Neanderthal e in Homo sapiens, costituisce
un vantaggio cognitivo. Aumenta però la difficoltà e i rischi del
parto, rendendo necessaria la collaborazione di altre donne. Solo grazie
alle ostetriche, il cervello dei Neanderthal ha potuto aumentare di
volume e permettere lo sviluppo di attività complesse come il
linguaggio.
Purtroppo, non rimangono tracce di altri organi. «Le
evidenze archeologiche visibili probabilmente sono solo la punta
dell’iceberg delle pratiche sanitarie più comuni», scrive Spikins.
RIMANE
DA CAPIRE se anche Homo sapiens, che per diverse migliaia di anni
convisse con Neanderthal, avesse competenze simili, e se tra le due
popolazioni si sia verificato uno scambio culturale. È molto probabile
che ciò sia avvenuto, perché l’analisi genetica dei resti dimostra che i
geni di Neanderthal e sapiens si siano mescolati per via sessuale
almeno in due momenti. In ogni caso, la salute dei nostri antenati deve
molto ai Neanderthal.
Una ricerca pubblicata a inizio ottobre
sulla rivista Cell da David Enard (università dell’Arizona) e Dmitri
Petrov (università di Stanford, California) mostra che nel Dna degli
attuali europei sono presenti 152 geni già rilevati in quello di
Neanderthal e coinvolti nella risposta immunitaria contro virus come
Hiv, epatite C e influenza A.
Secondo Enard, «i geni di
Neanderthal probabilmente ci protessero contro i virus incontrati dai
nostri antenati quando uscirono dall’Africa». L’accoppiamento con i
Neanderthal potrebbe aver permesso loro (cioè a noi) di resistere a
quelle malattie e diffonderci su tutto il pianeta.