il manifesto 19.10.18
Canberra pronta a riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele
Australia/Medio
oriente. L'annuncio fatto dal premier Scott Morrison, un cristiano
evangelico alleato di Trump, rischia di mandare a monte l'accordo
commerciale con l'Indonesia da 10 miliardi di euro e di rovinare le
relazioni con i paesi asiatici a maggioranza islamica.
Il premier australiano Scott Morrison
di Michele Giorgio
Si
tinge di giallo l’annuncio fatto qualche giorno fa dal primo ministro
Scott Morrison che il suo governo prenderà in seria considerazione il
trasferimento dell’ambasciata australiana da Tel Aviv a Gerusalemme,
sulle orme di Donald Trump. Annuncio che per la stampa australiana
equivale a una certezza. Alle proteste e alle polemiche politiche
generate da questo passo si è aggiunta la contrarietà, per ragioni di
sicurezza, dei servizi segreti australiani al riconoscimento di
Gerusalemme come capitale di Israele. Opposizione di cui Morrison non ha
tenuto conto. Qualcuno ha provveduto a far arrivare alla stampa il
documento inviato dai servizi al premier e la maggioranza punta l’indice
contro l’opposizione laburista che si oppone, almeno in questa fase, al
trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme. Israele segue con grande
attenzione gli sviluppi. Benyamin Netanyahu è fiducioso. Morrison, pensa
il premier israeliano, rispetterà l’intenzione espressa in ragione
anche della fedeltà australiana alla politica estera degli Stati uniti.
In
Australia il dibattito è sempre più acceso. Il primo ministro sta
ricevendo importanti sostegni al trasferimento dell’ambasciata da Tel
Aviv a Gerusalemme. L’opposizione da parte sua parla di “manovra”
elettorale di Morrison, un cristiano evangelico osservante, per
conquistare i voti degli australiani ebrei in vista delle votazioni di
domani a Wentworth, anche a costo di mettere a rischio le relazioni con i
paesi asiatici a maggioranza islamica. A Wentworth, dove il candidato
di Morrison, Dave Sharma, non è sicuro di vincere, c’è una comunità
ebraica significativa che compone il 13% circa dell’elettorato. E il
premier vuole quel seggio a tutti i costi perché è fondamentale per la
stabilità della sua maggioranza. Così è pronto a svendere i diritti dei
palestinesi su Gerusalemme e a violare il diritto internazionale come ha
fatto Trump. Le conseguenze per l’Australia però potrebbero rivelarsi
serie, anche dal punto di vista economico.
Canberra lavora da anni
a un accordo di libero scambio con l’Indonesia – lo Stato musulmano più
popoloso – del valore di oltre 16 miliardi di dollari australiani
(circa 10 miliardi euro). Non a caso anche Morrison, come il suo
predecessore Malcom Turnbull, ha effettuato il primo viaggio all’estero
da premier proprio in Indonesia, dove ha incontrato il presidente Joko
Widodo e si è impegnato a firmare l’accordo di libero scambio prima
della fine dell’anno. L’annuncio del trasferimento a Gerusalemme
dell’ambasciata australiana peraltro è esploso come una bomba quando il
ministro degli esteri palestinese, Riyad al Malki era in visita Jakarta,
rendendo più dura la posizione dell’Indonesia che da giorni riafferma
il suo disappunto per la mossa australiana. Il primo ministro designato
della Malesia, Anwar Ibrahim, avverte che l’Australia rischia di
compromettere le sue relazioni con molti paesi asiatici e preoccupazione
è stata espressa anche dalla prima ministra della Nuova Zelanda,
Jacinda Ardern, nettamente contraria a seguire le orme di Trump. Le
reazioni più forti arrivano dal mondo arabo. Il rappresentante dell’Olp
in Australia, Izzat Salah Abdulhadi, e i diplomatici di 13 ambasciate
mediorientali a Canberra tre giorni fa hanno condannato Morrison
sottolineando che un nuovo riconoscimento unilaterale di Gerusalemme
come capitale di Israele compromette ulteriormente la nascita di uno
Stato palestinese sovrano con capitale la zona araba di Gerusalemme.
Le
decisione dell’Australia è molto importante perché, a quasi un anno di
distanza, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele
fatto da Donald Trump non ha prodotto l’effetto domino che
l’Amministrazione americana e il governo Netanyahu si attendevano. Solo
il Guatemala ha seguito il presidente americano. Lo scorso maggio il
Paraguay aveva trasferito la sua ambasciata a Gerusalemme ma poi
Asuncion ha fatto marcia indietro e si è schierata sulle posizioni
palestinesi.