il manifesto 16.10.18
I partiti tradizionali travolti da una frana
Germania.
La lunga crisi dei tradizionali partiti di massa nella Repubblica
federale premia gli ecologisti, una formazione composita e sfaccettata
il cui successo è il segnale di una lenta metamorfosi
di Marco Bascetta
Non
tanto un terremoto quanto una frana che scivola inesorabilmente verso
il basso è l’immagine più adatta a descrivere la lunga crisi dei
tradizionali partiti di massa nella Repubblica federale. Che comunque
hanno tenuto ben oltre quelli italiani della prima repubblica o quelli
francesi finiti con il regno di Macron, ma che sempre meno riescono a
tenersi al riparo dallo smottamento che li sgretola. Le elezioni di
domenica scorsa in Baviera confermano un simile quadro. Nonostante la
pesante emorragia di voti il partito cristiano sociale conserva nelle
sue mani le leve del potere con una percentuale di consensi più adeguata
ai tempi dell’anacronistico monopolio che conservava dagli anni ’60.
Anche la società bavarese, cattolica e conservatrice, si è fatta più
complessa e il suo orizzonte culturale non è più quello chiuso e
tetragono dei tempi di Franz Joseph Strauss. Non esistono più da un
pezzo, le masse operaie sindacalizzate che votavano Spd, contrapposte
all’alleanza tra il conservatorismo rurale e una borghesia liberista
attenta a mantenere l’equilibrio tra innovazione e stabilità sociale. Ma
se la Csu riesce, malgrado la crescente insofferenza, a mantenere un
cospicuo radicamento sociale e un largo vantaggio sugli altri partiti,
la Spd viaggia ancor più rapidamente sul piano federale verso
l’insignificanza. Ormai del tutto incapace di capire e far capire quale
sia il suo compito e il suo orizzonte, prigioniera di una Grande
coalizione che doveva scongiurare il peggio. Questo peggio (l’«onda
nera») però non si è manifestato nelle proporzioni temute. Contro la
destra estrema esistono in Germania non pochi anticorpi ben più diffusi
della declinante Spd che, senza un ruolo definito e visibile, ha
continuato a perseguire la sua strategia di «responsabilità» suicida. È
su questo versante, semmai, che la coalizione guidata da Angela Merkel
rischia di infrangersi.
Molti si chiedono se la batosta subita
dalla Csu abbia indebolito la Cancelliera, colpendo anche questo suo
alleato di governo. Ma, a ben vedere, il fatto che la mazzata si sia
abbattuta sulla testa di Horst Seehofer, il ministro degli interni e
leader dei cristiano sociali che più di ogni altro ha tentato di far
deragliare la politica migratoria della Cancelleria e l’impostazione
europeista del governo di Berlino, è piuttosto un punto di forza. A
maggior ragione tenendo conto del fatto che la mazzata in questione non
proveniva prevalentemente da destra e dunque non giustificava la
campagna della Csu contro i rischi di un presunto eccessivo spostamento
dell’asse politico democristiano verso sinistra sotto la guida di Angela
Merkel. Le elezioni bavaresi dimostrano che nello scontro con Seehofer
era la Cancelliera ad avere ragione.
I verdi non sono un partito
popolare di massa e probabilmente non lo diventeranno mai. Il loro
stesso impianto culturale rende arduo questo tipo di evoluzione. Ma
proprio questa circostanza, pur non trattandosi di un partito «nuovo»,
li protegge e li avvantaggia in una fase in cui i grandi aggregati
politici omogenei vanno disarticolandosi. Il loro successo può essere
letto come il segnale di una lenta metamorfosi. La Germania, forte dei
suoi successi economici e di una radicata cultura della stabilità non
procede per brusche rotture, per improvvisi ribaltamenti. Ma è indubbio
che qualcosa stia cambiando e che una formazione composita e sfaccettata
come quella ecologista possa meglio di altre cogliere i segni del
cambiamento.
Alcuni commentatori sottolineano che, per loro grande
fortuna, l’exploit dei Gruenen in Baviera non li mette di fronte alla
scelta di entrare in una eventuale coalizione con la Csu.
Quest’ultima
li relegherebbe infatti in una condizione di subalternità tale da
determinarne il progressivo logoramento. Condannandoli a un destino non
dissimile da quello della socialdemocrazia. A Monaco si delinea un meno
problematico accordo con i Freie Waehler di Hubert Aiwanger, partito
municipalista e conservatore, più vicino alla Csu, ma ostile agli
eccessivi appetiti del liberismo bavarese. Ma, è cosa nota, tra simili
la spartizione del potere non propende per le buone maniere. Per un po’
la Csu dovrà occuparsi più delle faccende di casa propria che della
politica federale.