il manifesto 13.10.18
Stefano Cucchi, altri carabinieri indagati per il depistaggio
Giustizia.
Dopo la denuncia di Tedesco, la procura accusa di falso anche il
comandante di Tor Sapienza. Nella lente i vertici dell’Arma
di Eleonora Martini
Ci
sono altri carabinieri indagati per il depistaggio sulla morte di
Stefano Cucchi. Uomini appartenenti all’Arma che potrebbero aver
contribuito alla falsificazione e alla scomparsa degli atti relativi a
tutte le fasi dell’arresto del giovane geometra romano, arrestato per
spaccio la sera del 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo
all’ospedale Pertini. O che comunque sapevano del pestaggio a cui è
stato sottoposto ed hanno taciuto.
Tra loro, indagati per falso
ideologico, oltre a Francesco Di Sano, il carabiniere della stazione di
Tor Sapienza, che aveva già ammesso davanti alla Corte d’Assise
(nell’udienza del 17 aprile scorso) di aver dovuto ritoccare i verbali
per «ordine gerarchico» nascondendo le reali condizioni in cui versava
Cucchi, c’è anche il suo comandante, il luogotenente Massimiliano
Colombo, allora a capo della stazione di Tor Sapienza dove Stefano
trascorse la notte dopo essere stato picchiato nella caserma Casilina.
Gli inquirenti, che interrogheranno Colombo la prossima settimana, hanno
già perquisito nei giorni scorsi la sua abitazione e gli uffici, alla
ricerca di eventuali comunicazioni con i suoi superiori di allora. La
procura di Roma, infatti, vuole capire fino a quale livello i vertici
dell’Arma fossero a conoscenza del pestaggio subito da Stefano.
I
nuovi indagati – e quelli che eventualmente verranno – sono iscritti nel
filone di inchiesta integrativa che il pm Giovanni Musarò ha aperto in
seguito alla denuncia presentata il 20 giugno scorso da Francesco
Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati nel processo bis che dopo
nove anni ha deciso di raccontare il pestaggio a cui i suoi due
colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, hanno sottoposto
Cucchi dopo averlo arrestato (anche se non erano in servizio). Tedesco
ha anche denunciato la scomparsa di due sue annotazioni di servizio,
redatte non appena appresa la notizia della morte di Cucchi, nelle quali
– a suo dire – raccontava la verità, fino ad allora taciuta, su quanto
accaduto quella sera. Ecco perché la nuova inchiesta integrativa al
processo bis sarebbe composta da due fascicoli: uno per falso ideologico
e l’altro per soppressione di documento pubblico.
Il 26 settembre
scorso, durante il suo secondo interrogatorio davanti ai pm, a Piazzale
Clodio, il vice brigadiere Tedesco riconosce nel «fascicolo delle
annotazioni di servizio» che i magistrati gli mostrano quello nel quale
inserì i suoi verbali, «anche se – puntualizza – io ricordavo che la
copertina era rossa e non grigia, e che le tabelle erano scritte a mano e
non con il computer». Ma nella cartellina, come hanno appurato gli
stessi inquirenti, i documenti relativi a Stefano Cucchi non ci sono
più, e al loro posto compare un foglio bianco con su scritto «occupato»,
che nel linguaggio burocratico dell’Arma vuol dire «utilizzato
temporaneamente per fini di servizio». Tedesco si accorse che erano
spariti già qualche giorno dopo, e lì «cominciai ad avere paura». Non
sono mai riapparsi.
Ma non è l’unico documento, presumibilmente
scomparso o sostituito, che avrebbe potuto comprovare le pessime
condizioni di salute di Stefano dopo il pestaggio – o forse i pestaggi –
subiti quella notte. Il sospetto degli inquirenti è che siano stati
ritoccati anche il verbale di arresto, quello di perquisizione e il
registro di fotosegnalamento (nella caserma Casilina), oltre alle due
annotazioni di servizio della caserma di Tor Sapienza (secondo Tedesco,
fu il maresciallo Mandolini, comandante della caserma Appia oggi
imputato per falso e calunnia, a chiederlo esplicitamente con una
telefonata). Ma, soprattutto, evidentemente potrebbero essere stati
camuffati tutti i protocolli informatici interni dell’Arma, che infatti
non riportano notizia delle annotazioni di servizio depositate da
Tedesco il 22 ottobre 2009.
Il carabiniere che per la prima volta
ha rotto il muro di omertà che da sempre protegge le “mele marce” delle
forze dell’ordine, ha raccontato anche di essere sottoposto a un
«procedimento di Stato», che è «più grave del procedimento disciplinare e
fra le sanzioni prevede anche la destituzione». E di averne ricevuto
notizia nello stesso giorno in cui si è presentato a Piazzale Clodio per
essere interrogato dai pm. Il suo avvocato, Eugenio Pini, ha chiesto
all’Arma di «sospendere il procedimento in attesa che la Corte d’Assisi
si pronunci». «Ora non mi interessa nulla se sarò condannato o
destituito dall’Arma – ha però affermato lo stesso Tedesco – Ho fatto il
mio dovere, quello che volevo fare fin dall’inizio e che mi è stato
impedito. Sono rinato».
E a rinascere ora dovrebbe essere l’intero
corpo dei carabinieri. Occorre però che lo Stato, e soprattutto chi ha
sempre negato l’uso della tortura nelle nostre caserme e carceri, chieda
scusa. «Il giorno in cui il Ministro dell’Interno chiederà scusa a me,
alla mia famiglia e a Stefano – ha precisato ieri Ilaria Cucchi
rispondendo all’inveto di Matteo Salvini – allora potrò pensare di
andarci, prima di allora non credo proprio».
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