il manifesto 13.10.18
I contenuti, non il metodo. Nel nome di Trentin
Congresso
Cgil. Bruno Trentin è richiamato oggi con molta enfasi perché a
differenza dell’attuale segretaria generale Susanna Camusso, non propose
il suo successore ma mise in moto una consultazione vincolante di tutti
i membri del direttivo. Sarebbe forse più opportuno che fosse evocato
per i messaggi che lanciò con forza all’Assemblea di Chianciano del 1989
nella quale, con molto anticipo su tutti, pose il tema di come fare
sindacato in un mondo del lavoro che si frammentava e si personalizzava
di Andrea Ranieri
Da
vecchio trentiniano non posso che essere contento che la memoria di
Bruno Trentin entri nel dibattito congressuale della Cgil.
Bruno
Trentin è richiamato infatti con molta enfasi dal membro della
segreteria confederale Vincenzo Colla (v. la Repubblica dell’11 ottobre
scorso) perché a differenza dell’attuale segretaria generale Susanna
Camusso, non propose il suo successore ma mise in moto una consultazione
vincolante di tutti i membri del direttivo.
Sarebbe forse più
opportuno che Trentin fosse evocato per i messaggi che lanciò con forza
all’Assemblea di Chianciano del 1989 nella quale, con molto anticipo su
tutti, pose il tema di come fare sindacato in un mondo del lavoro che si
frammentava e si personalizzava. E magari fare i conti con la sua
angoscia, testimoniata dai diari recentemente pubblicati, nel constatare
come fosse difficile cambiare la Cgil per metterla in grado di
affrontare c on decisione i compiti nuovi che il mutamento politico e
sociale poneva al sindacato. In una situazione in cui la sinistra
politica stava perdendo ogni capacità di leggere le dinamiche sociali, e
faceva della modernizzazione e della innovazione senza aggettivi, della
«governabilità», la sua fondamentale ragion d’essere.
Trentin
aveva chiaro che di fronte alla frammentazione sociale che attraversava
il mondo del lavoro e la società intera non era possibile limitarsi a
difendere il fortino,
ma occorreva senza remore aprirsi alle nuove
soggettività lontane dai modi tradizionali in cui il sindacato pensava
se stesso e le sue regole di rappresentanza. Aprirsi al lavoro precario e
instabile, fare i conti con la cultura del femminismo e
dell’ambientalismo, fino a stringere coi nuovi movimenti forme di
consultazione e di co-decisione permanente, ogni volta che la
contrattazione affrontava problemi che avevano una ricaduta sulla vita
quotidiana delle persone, dentro e fuori dei luoghi di lavoro.
Nella
intervista di Colla, Trentin diventa una questione di metodo. E in
maniera a dire il vero un po’ astratta. Bruno Trentin lasciò la
segreteria della Cgil a metà del suo mandato, molto prima del Congresso.
Nella Cgil era in corso un dibattito con due visioni esplicitamente
diverse del sindacato. Da un lato Sergio Cofferati, dall’altra Alfiero
Grandi come referenti fondamentali. C’era una esplicita differenza di
linea. Trentin, che non amava le correnti né le cordate decise di
risolvere la questione prima del Congresso, perché la sua idea di
sindacato richiedeva militanti capaci di partecipare
all’elaborazione
politica con le proprie idee e le proprie esperienze, e non invece un
Congresso in cui le persone fossero invitate a schierarsi. Designò così
una Commissione di saggi per individuare il suo successore, che doveva
gestire il Congresso, proprio per evitare che diventasse alla fine una
conta fra correnti «personalizzate».
Fu scelto, dalla maggioranza del Direttivo, Sergio Cofferati e fu Cofferati a gestire il Congresso.
Luciano
Lama, la cui scadenza dalla carica di segretario generale avveniva
contestualmente alla scadenza congressuale, indicò Antonio Pizzinato
come suo successore prima del Congresso, che ratificò quella scelta.
Come del resto ha fatto Susana Camusso, che dopo un giro di
consultazioni si è resa conto di quello che è immediatamente percepibile
da chiunque: che la maggioranza degli iscritti della Cgil, e ancora di
più i nuovi lavoratori che la Cgil deve provare a rappresentare, vedono
in Landini la persona più adatta a guidare la Cgil in questo momento
difficile, che mette alla prova l’autonomia e la tenuta stessa del
maggior sindacato italiano. Ma la scelta è impropria, dice Colla, perché
sono gli organismi, l’Assemblea che uscirà dal Congresso, a scegliere
il segretario, e quindi nessuna indicazione andava fatta prima del
Congresso, ma la segretaria generale uscente avrebbe dovuto restare
invece in rispettosa attesa della nuova Assemblea.
Dal momento che
quello che si contesta non è la linea politica e nemmeno la persona ma
il metodo, e che Vincenzo Colla ha comunque avanzato la sua candidatura,
se la Camusso non si fosse espressa avremmo assistito ad un Congresso
caratterizzato dalla caccia ai delegati disposti a sostenere questo o
quello.
Chi è contrario a Landini dovrebbe spiegare le ragioni
politiche della sua contrarietà. Susanna Camusso ha dato le motivazioni
della sua proposta. Chi è contrario argomenti con altrettanta chiarezza.
Non è proprio trentiniano occultare le differenze politiche sotto una
questione di metodo.