il manifesto 12.10.18
Tra credenze e magie, reti di somiglianze
Antropologia. «Lo sguardo al cielo. Credenze e magie tradizionali» di Giuseppe Colitti, pubblicato da Donzelli
di Claudio Corvino
Negli
anni ’70 del secolo scorso in Italia era forte e diffusa la percezione
che qualcosa, la nostra stessa «cultura nazionale», stesse cambiando:
l’avvento sempre più capillare della tv, l’emigrazione e l’abbandono
delle campagne – ultimi presidi che conservavano i ritmi lenti delle
«culture popolari», ancora orientate ai lavori agricoli e alle stagioni –
sembravano condurre gli italiani verso un mondo diverso, più «moderno»,
migliore. O almeno così sembrava. Così intellettuali, insegnanti,
accademici e tutti coloro che a vario titolo si trovavano a mediare tra
luoghi, culture e generazioni, reagirono a questi mutamenti tentando di
«salvare il salvabile», documentando e registrando quanto di vivo
rimaneva della cultura popolare.
TRA QUESTE FIGURE, tra le più
pregevoli, c’è Giuseppe Colitti che, scegliendo e sbobinando tra le sue
oltre 2000 ore di registrazioni svolte perlopiù nel Cilento, ci offre
oggi un volume davvero interessante, Lo sguardo al cielo. Credenze e
magie tradizionali (Donzelli, pp. 281, euro 30). Qui Colitti non
interroga, non interpreta mai le informazioni e la cultura delle sue
fonti ma dà loro la parola, così che esse diventano i reali protagonisti
dell’affascinante racconto della tradizione cilentana, che è poi quello
della tradizione popolare tout court. Le storie degli informatori non
appaiono mai congelate, ma hanno tutto l’interesse e la vitalità di una
narrazione, più ancora, di un discorso aperto e tuttora in
trasformazione. Leggiamo, ascoltiamo dalla voce dei protagonisti,
tradizioni che si scambiano, si scontrano, si fondono come onde di un
oceano, conservando una loro coerenza di insieme. Pietro Clemente
introducendo il volume, parla perspicacemente di «reti di somiglianze».
SONO
RACCONTI POPOLATI anche da diavoli, streghe, lupi mannari: forme della
paura di memoria preindustriale, oggi scomparse dalle grandi narrazioni
pubbliche o private, sostituite da più moderni personaggi come il
fanatico religioso, il dittatore folle o da altri, di volta in volta
costruiti o indicati dai media o dal populismo di turno. Questo perché
la paura è un’emozione instabile e cangiante, che assume forme diverse a
secondo del contesto e del periodo: il lupo perde il pelo, ma non il
simbolo.
Nelle cinque parti in cui è diviso il volume – Credenze
tradizionali, pratiche e formule magiche, religione tradizionale,
preghiere extracanoniche – il lettore osserva stupefatto quel mondo di
senso che trasuda dai racconti, da quelle confessioni fatte al
ricercatore.
OSSERVATORE, questi, che è ben lontano dai raccoglitori
ottocenteschi o degli inizi del 900 che puntavano il dito verso il mondo
dei «semplici». Giuseppe Colitti è uno di loro: ci racconta cosa faceva
il nonno, la sua famiglia, talvolta lui stesso. Sono tutte storie e
confessioni che, più che informare, sembrano interrogare il lettore
riguardo le sue personali credenze. Risuona e si risveglia così, nel
leggere il libro di Colitti, un mondo di saperi che da poco abbiamo
abbandonato ma che ha ancora nessi e legami profondi con il nostro modo
di pensare e di vivere.
Le cose sono cambiate: cosa possono
raccontarci il vento, un tuono, una tempesta, in un appartamento
termicamente e acusticamente isolato da infissi e solide finestre? E il
buio sarà lo stesso, ora che non è abitato da spiriti dei trapassati o
da streghe? Ecco allora che anche Lo sguardo al cielo non è più lo
stesso perché diverso è l’occhio che lo guarda.