il manifesto 10.10.18
Fnsi: «Attacco inedito alla libertà di stampa e alla Costituzione»
Intervista
. Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della
stampa, spiega perché è arrivato il momento di reagire alle minacce del
governo
di Eleonora Martini
«Quello a cui
stiamo assistendo è un’aggressione senza precedenti alla libertà di
informazione. Dire che è qualcosa che abbiamo già visto in passato è un
errore di analisi politica gravissimo: è un fenomeno nuovo ed inedito
internazionale, con riflessi nazionali, e che ha nell’aggressione alla
libera informazione un punto strutturale». È molto duro, il giudizio di
Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa,
non tanto rispetto agli attacchi specifici del vicepremier Di Maio alle
testate del Gruppo Gedi, quanto piuttosto riguardo l’atteggiamento del
governo giallo-verde nei confronti del giornalismo in generale, «che
tradisce il vero obiettivo di questa campagna: indebolire l’articolo 21 e
la prima parte della Costituzione».
Giuseppe Giulietti, presidente dell’Fnsi
Si
è appena conclusa nella sede dell’Fnsi la vostra conferenza stampa con
l’Ordine dei giornalisti, l’Usigrai, Articolo 21 e molti comitati di
redazione. Perché proprio ora? È davvero in atto un attacco alla
democrazia?
Se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è
un uomo moderato sente il bisogno più volte di richiamare l’attenzione
sull’articolo 21 della Carta, e se un uomo come Steve Bannon, che è
stato l’ideologo di Trump e dell’intesa con la peggiore destra americana
ed è un esperto della fabbrica delle fake news create per inquinare gli
ordinamenti democratici, sceglie l’Italia come sua piattaforma per
realizzare una serie di alleanze internazionali, ci sarà una ragione.
Non è un film solo italiano, non è una reazione nervosa e non è
questione che riguarda solo una testata giornalistica. Trump, Orban, Le
Pen, Bolsonaro vincono le elezioni con questo schema: che ogni forma di
mediazione, siano essi corpi sociali, corpi intermedi, sindacati o
giornalisti sono il male perché si interpongono nel rapporto diretto tra
il nuovo potere e la folla – non il popolo che è un concetto nobile. Il
principe che si affaccia dal balcone deve poter comunicare attraverso i
suoi 140 caratteri e ha bisogno che non ci siano quelli che fanno le
domande, che organizzano le persone, o difendono i diritti. Va eliminato
non tanto il giornalista ma ogni funzione intermedia, in modo che il
cittadino sia solo nel vendere eventualmente se stesso al potente.
Cosa
proponete?
Siccome l’articolo 21 tutela da un lato il diritto di
cronaca ma dall’altro, ancora più importante, il diritto della comunità
ad essere informata, ci sono due proposte unitarie che mirano a
coinvolgere l’intera società. La prima idea è verificare la
disponibilità degli editori – che sono per ora un soggetto silente – e
delle emittenti radiotelevisive, a sostenere una campagna di
informazione simile a quella intrapresa negli Usa da 320 testate contro
le minacce di Trump ed ogni forma di bavaglio. La seconda proposta è
mettere insieme un ampio cartello di associazioni, non solo di
giornalisti ma di tutti i soggetti che sono colpiti nei loro diritti
costituzionali e sociali e che vedono negato il proprio diritto ad
essere informati, per arrivare uniti ad una manifestazione nazionale in
difesa della Costituzione.
Nell’ottobre 2009 una manifestazione
simile contro le minacce di Berlusconi riempì Piazza del Popolo. Allora,
secondo Reporters sans frontières, l’Italia era al 49° posto su 180
nella classifica della libertà di stampa. Oggi siamo al 46° posto. Ma
nel 2016, con il governo Renzi Roma era al 77° posto. C’è un problema
strutturale? A cosa è servita quella manifestazione?
Quella volta servì a
impedire l’approvazione della legge bavaglio. Oggi molti cittadini
assistono sgomenti ma non hanno punti di riferimento. La specificità
italiana che ci porta a quel punto della graduatoria è la mancata
soluzione del conflitto di interessi e del controllo governativo sulla
Rai, le leggi antitrust considerate debolissime e il numero di cronisti
messi sotto scorta. Il governo del cambiamento aveva annunciato di
intervenire su questi problemi ma non ha fatto nulla. E l’Italia rischia
un peggioramento per la campagna di aggressione verso i cronisti
segnalata anche da Rsf.
Infatti Rsf cita esplicitamente il
M5S…
Vorrei però far notare che al contrario di quanto sostiene Di Maio,
fino ad ora è passato tutto troppo sotto silenzio, mentre anche durante
il governo Renzi noi organizzammo un grande presidio davanti a Palazzo
Chigi per protestare contro le politiche del centrosinistra in materia
di informazione.
La guerra al giornalismo, nemico giurato del
rapporto diretto con gli utenti del web, è uno degli assiomi fondativi
del M5S. Il potere, si sa, si nutre del conformismo delle masse, come
scrive l’Espresso. Ma se questo governo mettesse in atto le minacce di
Di Maio e Crimi – la soppressione dei finanziamenti pubblici indiretti
ai giornali, l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, il divieto di
inserzioni pubblicitarie da parte delle aziende partecipate dallo Stato
su determinate testate o l’abrogazione delle convenzioni con le agenzie
di stampa – a rischio non sarebbe Repubblica ma i giornali come il
manifesto, cooperativa di giornalisti.
Infatti non si tratta di un
attacco specifico. Quando parlano di taglio ai finanziamenti pubblici
sanno bene che non ci sono più, che sono rimasti come forma di tutela
del pluralismo solo per alcuni quotidiani come il manifesto, l’Avvenire e
alcuni giornali no profit. Ma è il pregiudizio che va combattuto,
quello che dipinge come il male chi fa le domande. Di fronte a questo è
necessario far capire che non ce l’hanno solo con Repubblica o il
manifesto a Monfalcone (dove la sindaca leghista ha deciso di
estromettere il manifesto dai giornali della biblioteca comunale, ndr). È
alla funzione del giornalista che hanno dichiarato guerra.
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