giovedì 4 ottobre 2018

Il Fatto 4.10.18
Caro Saviano, a quando le cavallette?
di Andrea Scanzi


Roberto Saviano ha saputo costruirsi un bel ruolo: quello di “Re dei buoni”. L’ultima tappa della sua crociata è la difesa del sindaco di Riace, anche – e soprattutto – dopo l’arresto. Ad agosto diceva: “Mimmo Lucano è un modello. Ripartiamo da qui per organizzare una nuova Resistenza”. Lungi dal fare autocritica, pratica a cui Saviano è un po’ allergico, lo scrittore sta ora rilanciando il suo pensiero con intemerate funeree. Ovviamente il primo bersaglio è Salvini, che per Saviano c’entra sempre: Saviano è davvero convinto che Salvini sia una sorta di nuovo Goebbels. Nulla di strano: in tempi di perdurante penuria a sinistra, l’identificazione di un Orco Cattivo può aiutare a serrare le fila (quali?) e marciare uniti (come no) verso il Sol dell’Avvenire (ciao core).
Saviano sa benissimo che l’inchiesta che riguarda Lucano è scattata nel 2017, quando non era neanche ipotizzabile un Salvini al Viminale. Eppure per Saviano è sempre colpa del “ministro della malavita”, come lo chiama lui, citando malino lo storico Salvemini che a sua volta parlava di Giolitti (e “mala vita” lo scriveva staccato). A scanso di equivoci, ribadisco la mia stima a Saviano e la mia lontananza da Salvini: non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo, ma viviamo tempi intrisi di tifo e dunque stupidi. Purtroppo questa demonizzazione maldestra e in servizio permanente di Salvini rischia di fare proprio il gioco del leader leghista. Eppure Saviano va avanti, scomodando perfino Brecht: “Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere”. Detto che quando penso alla Resistenza penso a Fenoglio e non a Mimmo Lucano, brava persona ma “eroe” proprio no, il punto è un altro: chi lo decide quando la giustizia è giusta o ingiusta, Roberto? Tu? E come funziona, di grazia? Che se indagano Salvini la giustizia è buona mentre se arrestano un tuo amico allora è regime? Via, su. Anche sulla santificazione di Lucano, già divenuto “esempio di disobbedienza civile”, ci andrei cauto. A meno che, pure qui, non sia sempre Saviano a decidere quali siano i carcerati buoni e quali quelli cattivi. Beato lui: mai un dubbio, mai una sfumatura. Da una parte c’è il Bene, cioè Saviano, e dall’altra il Male. Una sorta di “manicheismo buonista”, che ti fa sentire sempre migliore degli altri. Così: ontologicamente. Saviano ha anche detto che “questa inchiesta è il primo passo verso lo Stato autoritario” e che “l’Italia sta diventando un regime”. Ehilà, addirittura. E quando è prevista l’invasione delle cavallette? Così, giusto per sapere: vorrei organizzarmi bene per l’avvento delle Tenebre. È poi confortante che Saviano abbia ritrovato tutta quella (meritoria) veemenza che purtroppo non sempre aveva con Renzi al potere, prima causa del Salvimaio, e quando la ritrovava – Boschi e caso Etruria – Repubblica lo censurava (e lo pubblicava l’Huffington Post).
Peccato che il 4 marzo quella veemenza si tradusse in un voto alla Bonino: cioè a Renzi, di cui i radicali (featuring Tabacci) tentarono d’essere un ormai liso specchietto per le allodole, a uso e consumo di quasi-delusi come Serra e Saviano. C’è poi un ultimo aspetto: i video. Quei video. Sempre quelle pause che in confronto Celentano è Il Mitraglia. Sempre quelle carrettate di retorica. Sempre quei toni da Cassandra in slow motion. Sempre quella recitazione monolitica, sempre quello sguardo lanciato verso l’Armageddon. Sempre quel tono di voce mai modulato, da automa apocalittico che ci tiene a ricordarti che devi morire. Sempre quell’effetto involontariamente comico, come Anna Marchesini quando parodiava Il giardino dei ciliegi. Ma lei, che era un genio, lo faceva apposta. Sei bravo e coraggioso, caro Roberto, ma se ogni tanto sottrai enfasi & bile alle tue reprimende ci guadagniamo tutti. Tu per primo.