Corriere 4.10.18
La triste storia di Riace che rende tutti più deboli
di Goffredo Buccini
Con
la sua ostensione della bontà ha spaccato l’Italia in due tifoserie. O,
meglio, ne ha rafforzato divisioni già profonde. Sarebbe forse utile,
invece, un approccio più pragmatico alla vicenda umana, politica e
giudiziaria di Domenico Lucano, il sindaco di Riace agli arresti
domiciliari nel paesino calabrese diventato, per opera sua, modello
mondiale dell’accoglienza (e dunque assai osannato e assai vituperato).
L’idea
di fondo che ha mosso Lucano è molto difficile da contestare in
buonafede. Fare leva sui migranti per ripopolare borghi deserti delle
nostre montagne, soprattutto al Sud, è una scelta ormai diffusa e
praticata dal sistema Sprar (lui ci arrivò in anticipo): e porta, al
contrario della «sostituzione» paventata da alcuni, anche il rientro di
molti ragazzi del posto, perché le cooperative sociali, come
testimoniano pure tante storie narrate dal Corriere con Buone Notizie,
creano reddito, lavoro, nuova imprenditorialità (si pensi a casi
virtuosi come la rinascita di Petruro Irpino, protagonista la Caritas, o
di Castel del Giudice, a opera di un sindaco riformista e di un
imprenditore «olivettiano»): insomma, vita che ricomincia.
La
strada assai vitale imboccata dal sindaco di Riace, però, sembra virare a
un certo punto verso un’altra direzione, creando nel tempo una specie
di repubblica autonoma sulle montagne calabresi. I «bonus» come moneta
parallela dei migranti (ora carta straccia nelle tasche dei negozianti),
i laboratori solidali quali volano di lavoro (chiusi da tempo) sono
ingegnose trovate che reggono solo con il sostegno dello Stato, in
assenza del quale tornano mera utopia. E la gestione dei soldi pubblici
può diventare dunque una ricca pignatta cui qualcuno, meno idealista di
Lucano, può aver mirato. Del sindaco le carte mostrano, accanto a un
grado quasi insostenibile di naïveté, una disinvoltura amministrativa
spinta ben al di là dei fardelli penali e ben distante dall’immagine di
economista prodigio che gli era stata ritagliata addosso per via
ideologica.
In uno Stato di diritto, inoltre, il fine non
giustifica mai i mezzi, anzi, se i mezzi sono sbagliati pervertono il
fine. Così l’idea di bypassare la legge per offrire ai migranti corsie
preferenziali occulte si presta a ogni forzatura. La parte politica più
vicina a Lucano si rallegra del fatto che siano cadute molte delle
accuse mosse dalla Procura. Ed è comprensibile. Dovrebbe tuttavia
preoccuparsi di quanta benzina diano alle tesi di Salvini l’uso opaco
del danaro e il ricorso ai matrimoni combinati per mettere in regola le
migranti. Lo scarso rispetto per i contraenti italiani di quei
matrimoni, poveri fantocci paesani arruolati dal sindaco alla bisogna
(il «piccolino» che non ha «mai visto una donna» e il «poverino» così
stralunato da non ricordare nemmeno il nome della falsa promessa sposa)
riesuma poi l’idea inquietante che per raddrizzare il legno storto
dell’umanità poco importi quanto si debba sacrificare di ogni individuo,
conta il disegno etico.
Il gip ha scagionato da altre e più gravi
accuse (concussione, associazione per delinquere, truffa) il sindaco
con parole che però ne velerebbero il profilo di amministratore
quand’anche nelle prossime ore fosse revocata o alleggerita la misura
cautelare. Arrestandolo per i matrimoni combinati (dunque
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e per la gestione dei
rifiuti, ne fa un quadro sorprendente: dice cioè che Lucano tiene
talmente in non cale la legge che, se restasse libero, continuerebbe
nell’illecito anche sapendo di avere gli occhi di tutti addosso. Perché,
aggiungiamo noi, certo di avere ragione. Invece, con buona pace di
molta intellighenzia di sinistra, Lucano ha inferto — magari con le
migliori intenzioni — al sistema dell’accoglienza da lui stesso
propagandato nel mondo un colpo dieci volte più duro di quanto avrebbero
saputo fare mesi di propaganda sovranista. Scegliere senza controllo né
criteri oggettivi quale migrante aiutare va benissimo per un privato
cittadino volenteroso ma apre voragini di ingiustizia sotto la scrivania
di un sindaco. La solidarietà senza legalità diventa caos e arbitrio.
Dalla storia di Riace, comunque vada a finire, usciamo tutti più deboli e
più poveri.