mercoledì 3 ottobre 2018

Il Fatto 3.10.18
L’Opera fantasma e i lavoratori invisibili Le Fondazioni a picco
Dagli archivisti ai musicisti, agli attori: sabato a Roma la prima manifestazione unitaria : “Siamo professionisti, non guitti”
di Alessia Grossi


La situazione più critica nel settore culturale è certamente quella delle Fondazioni lirico-sinfoniche di mezza Italia: dal Verdi di Trieste al Petruzzelli di Bari, fino al Massimo di Palermo. Ex Enti pubblici che nel 1996 subiscono per primi – seguiranno altri – la trasformazione in Fondazioni di diritto privato. Un modo, secondo l’allora ministro dei Beni culturali Walter Veltroni, che doveva servire a non appoggiarsi completamente al pubblico. A sostenere le produzioni dovevano entrare anche gli sponsor, mentre ai soci fondatori, Regioni e Comuni, non restava che finanziarle con aiuti una tantum. Di statale sarebbero rimasti e bastati i contributi del Fondo Unico per lo spettacolo (Fus). Sono passati 22 anni dalla nascita delle nuove fondazioni, e 33 da quella del fondo unico, ma “il modello non ha funzionato”, spiegano i rappresentanti delle sigle sindacali riunite a Roma al Conservatorio di Santa Cecilia per presentare la piattaforma comune di rivendicazione che porterà in piazza, sabato 6 ottobre, non soltanto i lavoratori delle Fondazioni suddette, ma 70 gruppi tra comitati di lavoratori culturali, organizzazioni sindacali, studenti e movimenti politici e democratici. Giornata simbolica visto che il 6 ottobre del 1600 a Firenze nacque l’Opera.
A prendere la parola per primo è proprio il direttore del Conservatorio, Roberto Giuliani, che si dice “vicino alle rivendicazioni dei suoi ospiti, non soltanto perché è lo stesso Conservatorio da lui diretto a portare i segni della razionalizzazione dei fondi pubblici – 270 mila euro annui per tutte le attività del Conservatorio di musica più importante d’Italia che in parte svolge ormai una attività volontaristica – confessa Giuliani, ma soprattutto perché la situazione che denunciano i lavoratori oggi sarà il futuro dei miei studenti. Bene che vada – conclude amaramente – i più bravi finiranno in orchestre straniere”.
A scendere in piazza sabato saranno anche archivisti, storici dell’arte, attori, oltreché maestranze, musicisti e coristi. La richiesta è unica e si appella all’articolo 9 della Costituzione “quello che delega e attribuisce la responsabilità della tutela della cultura ai cittadini”. Ci sarà anche il settore pubblico nel corteo che partirà da Porta San Paolo, a partire dai funzionari del Mibact a testimoniare i tagli progressivi che il dicastero ha riservato al comparto culturale. “Che arrivano anche al 50 per cento dello stanziamento iniziale”, denunciano. “Per anni ci hanno fatto credere che fosse una questione di ripartizione dei pochi soldi che c’erano. Ci hanno spinto alla competizione reciproca. Ma non è così – spiega il rappresentante de ‘Mi riconosci? Sono un lavoratore dei beni culturali’. I soldi ci sono e si possono trovare. Ma soprattutto non può esistere la competizione”, conclude.
Ma i malati più gravi, dicevamo, sembrano essere le Fondazioni lirico-sinfoniche “indebitate per 290 milioni di euro” a detta dello stesso Commissario straordinario Gianluca Sole durante l’ultima audizione in Senato qualche giorno fa. Si parla di nove teatri (la cui situazione economica riportiamo nell’elenco accanto) che al 31 dicembre 2017 vengono ammessi alla procedura di finanziamento e che hanno ricevuto per il triennio 2016-2018 contributi pari a 158,1 milioni, a fronte dell’approvazione dei nuovi piani di risanamento rispetto al primo del 2014. Il fondo, non utilizzabile per la gestione corrente, ma per all’ammortamento del debito deve essere restituito in 30 anni, secondo quanto disposto dal decreto del 2014. Peccato che stando alle parole di Sole “neanche in 100 anni – visti gli utili ridotti dei teatri – questi riuscirebbero a ripagare il debito”. Siamo al 2018, dunque, alla conclusione del triennio mancano pochi mesi e del risanamento non si vede l’ombra. Anzi, in totale il debito delle Fondazioni è quasi raddoppiato, sempre secondo i dati del Commissario, anche se tutti hanno raggiunto l’equilibrio gestionale – condizione sine qua non per non venire liquidati coattamente – secondo quanto previsto dall’accordo con il ministero.
Da parte sua, il Commissario ha spiegato nella sua relazione che si sta procedendo anche ad altri aiuti ai teatri in difficoltà, soprattutto per quanto riguarda il debito fiscale. “Misure queste ancora insufficienti comunque ad abbattere il debito delle Fondazioni – ha spiegato Sole – a cui per questo motivo vanno aggiunte altre azioni, come quella di incitare i soci alla ricapitalizzazione reale e immediata. Da affiancare a un nuovo contratto per i lavoratori che tenga conto delle loro specificità”. In poche parole Comuni e Regioni non possono più “limitarsi a inserire in bilancio un ipotetico finanziamento che poi non erogano o lo fanno troppo tardi”, redarguisce Sole. Tra le altre misure individuate dal Commissario quella di un possibile rinvestimento del debito annuale restituito dai teatri nelle produzioni stesse. Ma siamo al fotofinish e la Lirica non sembra essere uscita dall’impasse.