Il Fatto 25.10.18
La notte del pestaggio: “Magari muore”
Carabinieri - Le conversazioni del 2009 sull’arresto. E oggi sul film: “Lo guardiamo dopo mangiato”
di A.Mass. e Val.Pac.
È
il 16 ottobre 2009 e la centrale operativa del Comando provinciale dei
carabinieri di Roma contatta un militare che viene poi identificato in
Vincenzo Nicolardi. Non è un carabiniere qualsiasi: è uno degli imputati
– è accusato di calunnia – nel processo Cucchi bis. Nove anni fa alla
Centrale operativa che gli spiega come Stefano Cucchi stesse davvero
male (“c’ha attacchi epilettici e compagnia bella”) dà una risposta
agghiacciante: “Magari morisse, li mortacci sua”. “E lo so – risponde la
centrale –, ma siccome è detenuto in cella non è che può andare per i
fatti suoi”. E Nicolardi spiega: “No, è che da oggi pomeriggio che noi
stiamo sbattendo con questo qua”.
Passano nove anni, un processo
alla polizia penitenziaria finito con l’assoluzione, uno contro i medici
ancora in corso, un altro in cui per la prima volta si punta il dito
contro i carabinieri. E arriva anche un film (Sulla mia pelle). Che
alcuni dei carabinieri che videro Cucchi in quei giorni commentano. Il
12 settembre scorso Gianluca Colicchio, il militare che si scontrò con
la catena gerarchica su alcune annotazioni di servizio taroccate sulle
condizioni di Cucchi ne parla con la moglie. “Prima mangiamo – dice Inez
a Colicchio – e poi ce lo guardiamo, picchi se no non manci chiui, fa
scurari u cori matri”.
Lei gli manda una foto dell’attore che
impersona Colicchio. “Io sono più bello però”, risponde il marito. A un
certo punto la moglie commenta: “Sono stati i carabinieri, perché
proprio palesemente lo dice… fanno vedere la scena di quello là
muscoloso… il carabiniere, quello indagato… cioè si capisce che gliele
dava”. E Colicchio commenta: “Cercano solamente di influenzare
l’opinione pubblica…”.
Ines però aggiunge un dettaglio importante:
“Ho detto questo a Simona… allora Simona che qualcosa come noi sa, sa
fra virgolette, perché noi qualcosa gliela abbiamo raccontata, no?”.
“Inez – scrivono gli investigatori in un’informativa del 23 ottobre
scorso – lascia intendere che loro sanno cosa è accaduto e lei ha
raccontato qualcosa alla sua amica”.
Parlando con un collega di
nome Alessandro, il carabiniere Francesco Di Sano, accusato di falso per
aver cambiato una relazione di servizio, dice: “Comunque non è che ho
scritto baggianate, cioè i dolori al costato so’ diventati dolori alle
ossa, il costato so’ ossa, ma di che parliamo, nelle udienze l’ho sempre
detto che camminava male, e comunque pesava 43 chili”. Dopo aver saputo
dell’indagine per falso, Di Sano contatta il cugino Gabriele, di
professione avvocato: “Tu mi hai detto che queste cose ce le hai”, dice
Gabriele a Di Sano, che risponde di avere “la email di ritorno, con gli
allegati modificati”. Così l’avvocato consiglia: “Tutte queste cose per
ora conservatele, perché se tutto va come spero io, ci serviranno dopo,
per ricattare l’Arma, perché non vorrei che, se tutto va bene, cioè che
tutto si chiude e l’Arma ti dice: ‘Ah guarda tu comunque per noi non
puoi stare qua’. Allora, io ho queste cose in mano, che fate, mi fate
restare o vado al giornale?”. “L’avvocato – dice Di Sano – mi ha
chiesto: ‘Perché te l’hanno fatta cambiare?’ (l’annotazione, ndr)…”.
E
il cugino risponde: “Perché secondo me qualcuno sopra, molto sopra, s’è
accorto della bomba che stava scoppiando nelle mani dell’Arma e ha
tentato di aggiustare questa cosa…”.
Il colonnello Massimiliano
Colombo – anch’egli indagato per le false annotazioni – invece riassume
in una conversazione le parole del suo superiore, il colonnello Luciano
Soligo, sulle annotazioni da correggere: “Dice: ‘Troppo
particolareggiate, non sono state fatte bene’”.