giovedì 25 ottobre 2018

Il Fatto 25.10.18
San Lorenzo e il tempo perso con gli slogan
di Veronica Gentili


Mentre il ministro degli Interni mette piede per la prima volta a San Lorenzo e sfila in via dei Lucani tra giornalisti assiepati, pontificando su un quartiere “ricettacolo di criminali e spacciatori”, io nella via parallela sono appena risalita con la busta della spesa. Abito qui da quasi 5 anni, faccio i conti quotidianamente con un’amministrazione comunale che sembra essersi dimenticata di questo quartiere, e ne attraverso luci e ombre ogni giorno.
San Lorenzo non è il Bronx, ma se non lo è non è certo grazie alle istituzioni.
Questo quartiere in pieno centro di Roma, a due passi dalla stazione Termini e a dieci minuti dal Colosseo, in cui la notte dalle finestre si sente lo schiamazzo dei locali mischiarsi al rumore dei treni, è stato uno dei luoghi simbolo della Resistenza e a suo modo continua a resistere ancora oggi. Perché San Lorenzo è molto di più dei clichè a cui una narrazione approssimativa vorrebbe ridurlo: basta fare due passi tra via degli Equi e via dei Volsci per scoprire che si tratta di una di quelle poche zone di Roma in cui esiste ancora una vita di quartiere, in cui i baristi conoscono i clienti per nome, in cui le edicole, forti di un nutrito gruppo di clienti inossidabili, non si trovano costrette a chiudere da un giorno all’altro; e poi piccoli negozi, librerie, botteghe artigianali, autofficine, gelaterie, ristoranti a conduzione familiare che coesistono senza troppa fatica con i minimarket bengalesi che costellano le vie. San Lorenzo si arrangia, e fa di necessità virtù: come in tutti quei condomini dove le storiche famiglie della zona si sono abituate a condividere il pianerottolo con gruppetti più o meno rumorosi di studenti fuori sede che frequentano le varie facoltà della Sapienza. E poi la movida notturna certo, che nasce proprio in funzione di tutti quei ragazzi che riempiono le vie, ma che lasciata a se stessa finisce per essere infiltrata e contaminata. Nessuno in tutti questi anni ha pensato che prendersi cura di un quartiere che già da solo si era rimboccato le maniche per coesistere con il mondo che cambia, valesse la pena; a nessuno è venuto in mente che a questi cittadini di buona volontà servisse una mano da parte delle istituzioni. Quello che è successo in via dei Lucani 22, in un palazzo occupato ormai da anni e diventato terra di nessuno tra le denunce inascoltate degli abitanti della zona, è la cronaca di una tragedia annunciata. L’edificio, brulicante di spacciatori quasi tutti extracomunitari, è stato sgomberato sette volte, l’ultima a luglio, ma gli occupanti, forti di un’impunità data dal lassismo politico, sono sempre tornati. Che prima o poi sarebbe successo qualcosa di brutto lo sapevano tutti, ma nessuno ha fatto niente. Eppure è strano che di questi tempi, in cui non si parla altro che di sicurezza, di legalità, di ruspe e di rimpatri, a nessuno sia venuto in mente di prendere un toro così pericoloso per le corna. Il tempo per richiedere il certificato patrimoniale del Paese d’origine alle famiglie straniere di Lodi, mettendo nel frattempo i bimbi a mangiare in stanze separate, c’è stato; come c’è stato il tempo di tenere il punto sulla nave Diciotti lasciando dei derelitti in mezzo al mare per giorni; e si è trovata persino qualche ora per proporre il censimento dei Rom e per paventare la chiusura dei cosiddetti “negozi etnici” alle 21 perché “c’è gente che beve birra, whisky fino alle tre del mattino”. Stupisce che mentre c’era tempo per tutto questo, non ci sia stato un attimo per sanare una situazione così esasperata, soprattutto per chi ha scelto come priorità politica la sicurezza del cittadino. Salvini compare a San Lorenzo a cose fatte, quando in molti già gridano alla “nuova Macerata” e c’è solo da capitalizzare un’altra dose di consenso. Tolleranza zero, strade sicure: il ministro ci bombarda di parole da duro ma nei fatti, quelli veri, cos’ha combinato finora? Parole, parole, parole soltanto parole, parole per noi.