Corriere 25.10.18
La morte delle ragazze
Paura e violenza
Le voragini nelle nostre città
di Goffredo Buccini
I
sociologi li chiamano interstizi urbani. Chi ci vive attorno sa che
sono voragini di paura, crepe dolenti nel tessuto delle nostre città:
posti così hanno inghiottito Desirée Mariottini e, in circostanze assai
simili, Pamela Mastropietro.
R eca infatti con sé la terribile
suggestione del déjà vu e il grave fardello dell’emergenza sociale non
risolta dalla politica la fine inaccettabile della ragazzina di Cisterna
di Latina. Salita a Roma per una serata di divertimento e forse di
sballo, in quella San Lorenzo che fu borgata operaia e ora è uno dei
molti cuori della movida capitolina, Desirée è stata drogata, abusata e
uccisa dentro un palazzo abbandonato di via dei Lucani. Lì, da tempo, si
sono installati gli spacciatori della nuova eroina, soprattutto
nordafricani e nigeriani. Nulla di segreto, intendiamoci: gli abitanti
della zona avevano mandato persino filmati e foto dei pusher alle forze
dell’ordine chiedendo invano lo sgombero di quelle baracche che dovevano
diventare appartamenti residenziali e, abbandonate per un contenzioso
amministrativo, si sono trasformate in inferno quotidiano.
Ieri
Matteo Salvini, venuto in via dei Lucani «a deporre una rosa», ha
sperimentato per la prima volta la scomoda posizione di chi sarebbe
tenuto — essendo da cinque mesi ministro dell’Interno — a risolvere i
problemi più che a denunciarli. Tra i consueti applausi ha raccolto i
primi fischi e insulti («sciacallo»), forse neppure tutti provenienti
dagli antagonisti schierati davanti al palazzo; s’è cavato dall’impaccio
promettendo — come quand’era all’opposizione — di tornare con la solita
ruspa e additando altrui (presunte) responsabilità: della Procura, «cui
ho chiesto il pugno di ferro, perché ciascuno deve fare la sua parte», e
dei privati, «che abbattano gli stabili abbandonati».
In realtà,
al di là dei proclami sempre identici, si inizia a intravedere
un’imbarazzante linea di continuità nella gestione della materia, quasi
un testimone passato da un governo all’altro nella difficoltà di agire.
Perché tutto è, ed era, sotto i nostri occhi. Non era un mistero per
nessuno, un anno fa, che gli spacciatori nigeriani (alcuni fuorusciti
dal sistema Sprar e diventati «fantasmi» per la nostra burocrazia) si
fossero impossessati dei Giardini Diaz di Macerata, creando lì il
crepaccio urbano dove il 30 gennaio 2018 Pamela Mastropietro è
precipitata incontrando il pusher accusato della sua morte, Innocent
Oseghale. Sul destino della diciottenne romana e sullo strascico del
raid razzista di Luca Traini, «approvato» da una non piccola parte della
città, si giocò l’ultimo brandello della campagna elettorale.
In
tutti questi mesi non molto sembra cambiato in Italia. La questione
migratoria e la questione delle periferie (non solo geografiche, San
Lorenzo e i Giardini Diaz certo non lo sono) restano intrecciate e
irrisolte. C’erano in giro (fonte Commissione parlamentare) seicentomila
«invisibili», migranti irregolari fuorusciti dal nostro sistema
d’accoglienza e naturalmente concentrati nelle aree di disagio. Salvini,
prima del 4 marzo, promise di rispedirli tutti indietro in tempi brevi.
Di recente ha sostenuto che molti di essi «sono già andati via», non si
sa su quali basi. La realtà è nelle nostre stazioni, nei nostri parchi,
sotto gli occhi dei cittadini che sperimentano quanto attuali siano le
diagnosi riferite dai sociologi della Scuola di Chicago a un altro
convulso periodo, i primi trent’anni del secolo scorso: «Le nostre
grandi città rigurgitano di rifiuti, molti dei quali umani, cioè uomini e
donne che per un motivo o per l’altro non sono riusciti a stare al
passo con il progresso industriale». Si sostituisca «industriale» con
«globale» e si avrà un quadro assai prossimo al presente. E qui, dunque,
s’incrocia la grande, e attualissima, questione urbana. La periferia,
intesa anche come marginalità economica e sociale, sarebbe la vera sfida
del cambiamento, visto che in condizioni «periferiche» vivono circa 15
milioni di italiani: i più in difficoltà. Mancano soprattutto strade,
scuole, servizi, ovvero il tessuto che servirebbe a rammendare gli
interstizi urbani da troppo tempo abbandonati (si pensi che dal 2007 al
2017 gli oneri di urbanizzazione sono stati distratti dai Comuni in
rosso per farne spesa corrente). Che il governo abbia congelato, per le
note ragioni di bilancio, un miliardo e 600 milioni destinati dalla
precedente maggioranza al Bando periferie non sembra una buona idea.
Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno un merito storico: lo sdoganamento
di parole come «paura» e «povertà» che, per quanto sentite nella carne
dalla gente, erano di fatto cancellate dal dizionario dei governi a
guida Pd. Ma evocare un problema non equivale a risolverlo: il rischio è
che presto gli italiani debbano accorgersene, assieme ai loro nuovi
leader.