Il Fatto 24.10.18
I poveri sul divano: la strana distanza tra dibattito e realtà
di Silvia Truzzi
Ieri
l’Istat ha pubblicato un documento sulla “povertà energetica” nel
nostro Paese: cresce la quota di popolazione che non riesce a riscaldare
l’abitazione. Un fenomeno che, i dati citati sono relativi al 2016,
riguarda il 16,5% delle famiglie italiane, poco più di 9 milioni di
persone. La settimana scorsa l’allarme lo aveva lanciato la Caritas, nel
Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto: c’è un “esercito di
poveri in attesa che non sembra trovare risposte e le cui storie si
connotano per un’allarmante cronicizzazione e multidimensionalità dei
bisogni”. Il numero degli indigenti assoluti “continua ad aumentare”,
superando i 5 milioni. “Dagli anni pre-crisi a oggi il numero dei poveri
è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento
causato dalla crisi”. L’obiettivo è di dare delle risposte, anche se
“come cristiani, abbiamo qualche difficoltà a pensare che si possa
abolire la povertà”, ha detto il direttore di Caritas, don Francesco
Soddu. “Ma sappiamo che ogni storia riconsegnata alla sua dignità e alla
sua libertà rende migliore il nostro Paese, ci rende migliori. La
povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento,
fragilità, paura del futuro. Dare una risposta unidimensionale a un
problema multidimensionale, sarebbe una semplificazione”.
Infatti
affermare “aboliremo la povertà”, come ha fatto il vicepremier Luigi Di
Maio, è più di un’ingenuità (è più grave, più demagogico, più assurdo). E
può darsi che sulle misure di contrasto – reddito di cittadinanza,
reddito universale, reddito d’inclusione – non ci si trovi d’accordo.
Sembra però, guardando questi numeri spaventosi, abbastanza evidente che
intervenire è urgente e necessario. Eppure, se ci fate caso, il
dibattito si concentra praticamente solo sulle pene da infliggere in
caso di eventuali truffe: sempre Di Maio ha garantito sanzioni
severissime, fino a sei anni di carcere, per i “furbetti” (roba da
allarme sociale, altro che grandi evasori fiscali). Vedremo il testo
definitivo della manovra, resta incredibile che sui giornali e nei
salotti televisivi si dibatta – con un singolare accanimento – solo
attorno a “divanisti” e “furbetti”. I divanisti sono tutti quei ragazzi
del Sud – chi di noi non ne conosce intere tribù – che non sognano un
futuro normale (un lavoro, una famiglia) ma desiderano passare i loro
prossimi lustri spaparanzati sul divano in canottiera, rutto libero a
spese dello Stato. Quanto bisogna essere razzisti per formulare un
pensiero così gretto? Quanta miseria morale sta dietro l’assunto
meridionali-lazzaroni? Già all’indomani del voto, commentando l’exploit
dei Cinque Stelle al Sud, non si sentiva altro che dire: per forza,
quelli vogliono l’assistenzialismo, parassiti! È incredibile che tanto
rigore (e tanto razzismo) arrivi spesso dalle penne più impegnate nella
lotta al fascismo di ritorno, dagli alfieri della tolleranza, che
giustamente segnalano ogni possibile episodio di razzismo (perfino
quando è dubbia la verifica delle fonti). Intanto, mentre sembra
incombere con sempre maggiore allarme un nuovo regime, i cittadini sono
sempre più poveri e fragili (come ha ben spiegato il direttore della
Caritas), il dibattito pubblico si è incartato attorno al dito e alla
luna neanche ci pensa più. Ieri il sociologo Domenico De Masi, già
collaboratore dei 5 Stelle, ha detto a Radio 2 che “per avere il reddito
di cittadinanza come dovrebbe essere ci vorranno due o tre anni” e fino
ad allora “il reddito del M5s è pari pari il reddito di inclusione del
Pd, esteso a sei milioni di persone a 780 euro”. Pure fosse così, ci
permettiamo di dire: che li prendano tutti e, come ebbe a dire un
vescovo in una circostanza ben più tragica, dio riconoscerà i suoi.