Il Fatto 21.10.18
Occhetto, testimone diretto dell’“eclissi” della sinistra
di Antonio Padellaro
“Queste
parole furono coperte da una risata satanica. Noi eravamo esterrefatti.
Lo scenario catastrofico che era stato evocato, come se emergesse da
una demoniaca seduta spiritica, superava ogni immaginazione. Facevamo
fatica a credere a quanto avevamo appena ascoltato”.
Achille Occhetto, “La lunga eclissi. Passato e presente del dramma della sinistra”, Sellerio
Achille
Occhetto è stato l’ultimo segretario del Partito comunista italiano e
il primo del Partito democratico di sinistra. Fu protagonista della
famosa svolta della Bolognina che – il 12 novembre 1989, tre giorni dopo
la caduta del Muro di Berlino – segnò in maniera indelebile la storia
della sinistra, nel bene e nel male. Occhetto è anche ricordato come
leader della “gioiosa macchina da guerra”, che chiamò a raccolta le
forze del centrosinistra, sconfitte da Silvio Berlusconi nelle elezioni
del 1994. Da quel momento, salvo sporadiche iniziative, Occhetto ha
scelto l’ombra, quasi si sentisse un sopravvissuto. Eppure, egli resta
il testimone diretto di una vicenda storica di straordinaria importanza.
Come dimostra il suo ultimo libro, quasi un’autobiografia. Una miniera
inesauribile di fatti e circostanze, di drammi umani e politici, di
trionfi, di tragedie. Tutto intrecciato con l’esperienza di chi ha visto
e sofferto molto. Come ogni libro di questo genere, “La lunga eclissi”
va letto nella sua interezza.
In queste poche righe possiamo solo
segnalare due episodi, di cui uno di impatto straordinario. Il primo
riguarda Enrico Berlinguer che, svela Occhetto, già a metà degli anni 70
meditava una svolta rivoluzionaria. Accadde ad Agrigento, in una stanza
d’albergo, durante la campagna per il divorzio quando, rivolto
all’allora giovane segretario della Sicilia, il leader chiese, a
bruciapelo: “Cosa ne pensi se cambiassimo nome al Pci?”. Nel corso della
conversazione, Occhetto, “timidamente” fece la sua proposta: e se lo
chiamassimo partito comunista democratico? “Berlinguer sorrise con aria
di sufficienza e mi rispose: ‘Da un lato è troppo poco, e dall’altro si
finirebbe per far credere che noi attualmente non siamo democratici’”. E
non se ne parlò più.
Nel libro si leggono pagine sconvolgenti sui
regimi della paura: l’Urss e la Cina. Incredibile il capitolo
intitolato “L’ultima cena: la rottura con i cinesi”, che potrebbe
costituire la sceneggiatura di un film horror. Siamo verso la metà degli
anni 60, in Vietnam gli interventi degli americani fanno presagire il
conflitto, Occhetto partecipa a una riunione con i cinesi presieduta da
Teng Hsiao-ping. Il monologo del segretario generale del partito,
fedelmente riportato dall’autore, si sviluppa in un crescendo dal ritmo
angosciante, che non può essere riassunto se non nella parte conclusiva.
Quando, profetizzando l’escalation della guerra tra Washington e Hanoi,
Teng auspica il seguente epilogo: “Con l’intervento dei cinesi i
marines verranno ricacciati verso il mare. Allora gli Usa ricorreranno
all’ultima estrema tappa. Getteranno la bomba atomica su Hanoi. Questo è
un male ma anche un bene, perché a questo punto i revisionisti
sovietici saranno costretti a scendere in campo al nostro fianco.
Scoppierà così la terza guerra mondiale, che distruggerà
l’imperialismo”. È qui che i presenti prorompono nella “risata satanica”
che ammutolisce la delegazione del Pci. Non sappiamo se la guerra
arrivò a sfiorare il punto di non ritorno progettato da Teng. Tuttavia,
ora sappiamo a che punto poteva spingersi quella follia.