domenica 21 ottobre 2018

Il Fatto 21.10.18
I “Forrest Gump” latinos in marcia spaventano Trump
Centroamerica - Verso gli Usa 4 mila “caminantes” da Honduras, El Salvador, Guatemala. Il Messico schiera l’esercito al confine sud
di Paolo Frosina


Sono partiti in pochi, appena 160, all’alba di venerdì 12 ottobre dalla stazione degli autobus di San Pedro Sula, una delle città più pericolose al mondo, nel nord dell’Honduras. Ora sono almeno 20 volte tanto: una marea umana che è cresciuta a ogni passo. Hanno risalito Honduras, El Salvador, Guatemala, macinando – per lo più a piedi – oltre 40 chilometri al giorno. Ora il fiume di bandiere, volti e storie si è fermato, dopo 500 chilometri attraversati, a Tecún Umán, al confine col Messico. Vogliono entrare negli Usa, la terra che per loro è sinonimo di opportunità e speranza, ma che li teme, presidente Donald Trump in testa, soprattutto adesso che si avvicinano le elezioni di Midterm.
Si sono accampati nel parco, e sulla sponda del río Suchiate, che segna la frontiera tra Guatemala e Messico, cantando l’inno nazionale. Alla riva opposta del fiume, ad aspettarli, mille agenti messicani in tenuta antisommossa e grate d’acciaio alte tre metri. Per entrare in Guatemala, dall’Honduras, basta un semplice documento d’identità. Per passare il confine con il Messico, invece, è necessario il passaporto, ma in pochissimi ne sono in possesso. Così i 4mila caminantes hanno fatto della cittadina guatemalteca di Tecún Umán – 33 mila abitanti – il loro rifugio provvisorio.
Il grosso della carovana umana è arrivata qui due giorni fa. Tante le donne, tantissimi i neonati e i bimbi. C’è anche chi ha già provato a varcare la frontiera, imbarcandosi su natanti di fortuna per guadare il fiume. Scappano dalla povertà, dalla disoccupazione, dal reclutamento forzato e dalla violenza delle pandillas, le gang criminali centroamericane. Quando hanno potuto, sono saliti su auto, furgoni, persino tetti di bus. Molti agitavano bandiere bianco-blu honduregne e urlavano slogan contro Juan Orlando Hernández, il presidente accusato di connivenza con i cartelli del narcotraffico.
Mercoledì scorso, hanno attirato l’attenzione di Donald Trump. “Abbiamo informato i governi di Guatemala, Honduras e Salvador: se permetteranno a queste persone di attraversare i loro territori allo scopo di entrare illegalmente negli Usa, tutti i finanziamenti ai loro Stati finiranno”, ha scritto il presidente in uno dei tanti tweet dedicati ai caminantes. Il governo messicano di Enrique Peña Nieto, di tutta risposta, da giovedì ha ammassato al confine tra Tecún Umán e la città di Hidalgo, Mexico, poliziotti in assetto da “contenimento”. E Trump, postando il video di un aereo militare messicano che scaricava centinaia di agenti, ha ritwittato entusiasta: “Grazie Messico, non vediamo l’ora di lavorare insieme a voi!”.
“Ma è Dio che decide qui, non Trump – dice al Washington Post Luis, 32 anni – e noi non abbiamo altra scelta se non di andare avanti”. Con lui, venerdì, i primi honduregni hanno provato a passare il confine. Alcuni di nascosto, pagando 10 quetzal (poco più di un dollaro) ai traghettatori abusivi per passare il fiume, la maggioranza accalcandosi sul ponte Rodolfo Robles, l’unico che collega le due rive del río Suchiate. La “testa” del gruppo all’alba ha provato a sfondare: spingendo tutti insieme, hanno fatto cadere i cancelli, e qualche centinaio di migranti sono riusciti a far perdere le proprie tracce. Gli altri – inclusi quelli in regola con i documenti – sono stati respinti a lacrimogeni e manganellate. Resteranno a Tecún Umán. Si sono seduti a gambe incrociate sul ponte, che è coperto da una marea umana in attesa. Aspettano di sapere cosa sarà di loro.