Il Fatto 1.10.18
Pd, “unità” in piazza e veleni nel retropalco
Roma, Renzi si agita per intestarsi l’iniziativa. Martina pensa a candidarsi
di Wanda Marra
“La
gente c’è, la manifestazione è riuscita. C’è ancora qualcosa per cui
candidarsi”. Appare stupito Nicola Zingaretti, governatore del Lazio e
candidato segretario dem, mentre nel retropalco di Piazza del Popolo
aspetta l’inizio degli interventi. A leggerla attraverso le sue parole,
la manifestazione contro il governo fortemente voluta da Maurizio
Martina, in origine reggente, oggi segretario in scadenza, va avanti per
binari paralleli. Davanti al palco. E dietro. La piazza è “abbastanza”
piena. Non si arriva neanche lontanamente alla metà dei 70 mila che
dichiarano gli organizzatori, ma comunque c’è molta più gente rispetto
al corteo antifascista di febbraio, subito prima delle elezioni. E alla
manifestazione per il referendum.
Dietro, i retropalchi sono due:
uno aperto alla stampa, un recinto chiuso con i dirigenti. Così, ogni
tanto, i big si fanno una passeggiata ad uso di telecamere. Ognuno per
conto suo. Zingaretti parla del “dovere” di dialogare con una immensa
base elettorale che ha colto nel M5s un approdo. Con Renzi, su posizioni
opposte, si ignorano e neanche si incontrano. Calenda che ribadisce:
“Non mi presento candidato a segretario di un partito che penso vada
superato”. E soprattutto c’è Renzi. Tra un tweet, un post Facebook, un
selfie e un comizio davanti ai cronisti, emana fiumi di parole per
intestarsi l’iniziativa, ora che non è un flop. Attacca il governo:
“Stanno mettendo a rischio la tenuta del Paese”; per lodare il lavoro
dell’opposizione cita l’ostruzionismo. Si fa fotografare mentre
abbraccia Paolo Gentiloni. E non si lascia sfuggire l’occasione, ovvero
Paolo Virzi, che “invitato” a seguire con lui la giornata da Diego
Bianchi, per Propaganda Live, arriva in piazza. Renzi lo abbraccia, poi
gli dice: “Allora ci vediamo a cena?”. A domanda su questa presunta
cena, dopo, il regista risponde: “Lo avevo conosciuto 13 anni fa a
Firenze. Allora avevamo parlato di una cena”. Cosa non si fa per una
photo opportunity.
Sul palco salgono i giovani. C’è Federico
Romeo, il giovane assessore del Municipio di Polcevera, a Genova, che
dopo il crollo del Ponte Morandi è diventato il volto da esibire. C’è
Bernard Dikka, il millennial caro a Renzi, che arringa le folle in un
modo che ricorda la Serracchiani degli inizi. Intanto, nel “recinto”, la
situazione è slabbrata. D’altra parte, i presenti si sopportano a
stento. Gentiloni si intrattiene con Franceschini e Zanda. Renzi con
Bonifazi e Migliore. Martina e Delrio stanno per conto loro.
Martina
chiude. “Serve un nuovo Pd per una nuova sinistra. Vi chiedo questo
impegno, vi prego, insieme”. La piazza continua a intonare il coro
“unità, unita”, Martina si inceppa, ogni tanto si ferma, ma arriva fino
in fondo. Cita Corbyn e “quell’avidità del capitalismo che in questi
anni non abbiamo capito”. Dice cose più nette di quelle declamate da
Renzi. Al governo: “Se avete a cuore la sicurezza e la democrazia
dimostrate di voler combattere la xenofobia e il razzismo. Noi siamo
figli della Resistenza”.
Sul palco non sale nessuno dei big: il
segretario non ha fatto richiesta, gli altri non avevano particolarmente
voglia di fare i comprimari. A proposito di unità. Mentre Martina
scende a stringere mani, Renzi dalla “gabbia” nel retropalco si sporge a
fare un giro parallelo. Acclamati entrambi. Tanto che il segretario
comincia a riflettere su una cosa fino a ieri esclusa: candidarsi. Tra i
renziani è tutto uno smontarlo: “Ha parlato troppo”. Trattamento simile
per Zingaretti: “È sparito: come fa uno a proporsi segretario, se non
regge neanche una manifestazione?”. Si discute delle ballerine della
Boschi: c’è chi stima prezzi astronomici. Si intrattiene con Matteo
Orfini che dice: “Per il referendum c’era la stessa gente. Ci abbiamo
lavorato come allora”. Sei treni speciali e 200 pullman: un impegno
massiccio per riuscire a decretare la resistenza in vita dem. “L’Italia
che non ha paura” (questo lo slogan, contestatissimo) se ne va sulle
note – nostalgiche – di Born to run.