Corriere 1.10.18
I numeri e i dubbi
Crescita, una scommessa con quattro punti critici
di Federico Fubini
L’Italia
alla resa dei conti. E la quasi totalità della partita si gioca su
pensioni e sostegno alla povertà. Dopo la Grecia, abbiamo la percentuale
di occupati più bassa del mondo sviluppato, e il 10% più indigente
della popolazione controlla appena l’1,8% del totale dei redditi, metà
rispetto al resto d’Europa. Numeri pesanti. Resta ora da capire se la
strategia messa in atto da Salvini e Di Maio sia credibile o meno, quale
sia la vera equazione della crescita, quali gli effetti collaterali e
quali i canali finanziari.
L’Italia è a una resa dei conti e quasi
tutto si gioca sulle pensioni e il sostegno alla povertà. Forse era
inevitabile. Dopo la Grecia, abbiamo la percentuale di occupati più
bassa nel mondo sviluppato e il 10% più indigente della popolazione
controlla una fetta di appena l’1,8% del totale dei redditi, metà
rispetto al resto d’Europa. Nel frattempo la riforma delle pensioni del
2012, resa necessaria dagli enormi squilibri del sistema e dalla crisi
finanziaria, ha generato effetti unici in Occidente: un salto in avanti
di sette anni dell’età del ritiro.
All’epoca tutto avvenne senza
un’ora di sciopero, in una comunità nazionale terrorizzata all’idea che
un default distruggesse i risparmi di tre generazioni. Neanche le
persone in povertà assoluta sono mai scese in piazza mentre il loro
numero si gonfiava da meno di due milioni nel 2005 a più di cinque
l’anno scorso. Questi traumi però aprono fratture profonde che prima o
poi tornano allo scoperto. Succede in questi giorni, con i piani di
deficit che Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega) hanno imposto al
governo. Resta da capire solo se questi siano credibili e se appaiano
tali a chi ogni anno presta oltre mille miliardi a imprese, banche e
allo Stato italiano.
L’equazione della crescita
Tutto si
fonda su un’equazione: aumentare la spesa pubblica per consumi e
investimenti dovrebbe generare crescita, mentre a sua volta l’aumento
del Prodotto interno lordo (Pil) in proporzione contiene il deficit e fa
scendere il debito. Ieri in un’intervista al Sole 24 Ore , il ministro
dell’Economia Giovanni Tria ha difeso così scelte che fino a giovedì
scorso all’ora di cena non condivideva: un aumento della spesa per
investimenti dello 0,2% del Pil secondo lui dovrebbe far salire il
deficit fino al 2,4% del Pil nel 2019, ma non oltre perché farebbe
accelerare la crescita all’1,6% l’anno prossimo e all’1,7% nel 2020.
Dunque un’economia più robusta rende, in proporzione, più piccolo il
debito pubblico e contiene al 2,4% fino al 2021 il deficit. Sul Fatto
Quotidiano anche il ministro degli Affari europei Paolo Savona ha
ripetuto lo stesso argomento, curiosamente dando numeri diversi: un
aumento di spesa pubblica per investimenti dello 0,5% del Pil, più un
altro 0,5% di Cassa depositi e prestiti dovrebbe far crescere il Pil al
2% nel 2019 e fino al 3% in seguito. In sostanza, l’impennata della
spesa risanerebbe i conti pubblici ampliando la base dell’economia.
Gli effetti collaterali
La
strategia funziona se le previsioni di crescita si realizzano,
altrimenti fa esplodere il deficit e fa salire il debito a livelli
pericolosissimi. È fondamentale dunque capire quante probabilità abbia
l’economia di accelerare come pensa il governo. Il punto di partenza non
è buono. Savona parla di «situazione che volge al peggio», Tria prevede
una frenata ad appena lo 0,9% di crescita nel 2019 se non si cambia
politica. Hanno ragione loro due: la produzione industriale in
contrazione, la fiducia debole nel manifatturiero e l’occupazione in
calo suggeriscono che l’Italia oggi sta crescendo non molto più di zero.
Se questo è il punto d’ingresso nel 2019, una semplice legge statistica
suggerisce che di questi tempi tra un anno l’Italia dovrebbe correre a
ritmi annuali fra il 2,5% e il 4% semplicemente per centrare gli
obiettivi di crescita annunciati dal governo. Probabile? Non troppo,
dato che il tasso di espansione medio annuo dal 1995 è dello 0,5%:
dovremmo correre fra cinque e otto volte più del nostro potenziale.
Se
non ce la facessimo e gli obiettivi di deficit si allontanassero, la
risposta del governo sarebbero allora tagli automatici di spesa, ma Tria
non dice come e a danno di chi. Anche la logica appare contraddittoria.
Se proprio l’aumento di spesa pubblica che dovrebbe far crescere il Pil
e dunque rendere i conti sostenibili, non si capisce come dei tagli
recessivi potrebbero ottenere lo stesso effetto. O l’uno o l’altro.
I canali finanziari
Tria
dice che gli investimenti privati potrebbero affiancarsi a quelli
pubblici, ma bisogna capire quanto sia verosimile mentre i rendimenti
dei titoli di Stato salgono e il loro valore scende. Gli investimenti
privati infatti sono finanziati dalle banche, e queste a luglio avevano
in bilancio titoli di Stato italiani per 380 miliardi di euro. La
svalutazione di quei bond e l’aumento dei rendimenti provoca perdite per
gli istituti, ne erode il patrimonio e ne alza i costi di
finanziamento. Nel 2012 la Banca d’Italia stimò che ogni aumento dell’1%
dei rendimenti dei titoli di Stato riduceva la crescita dei prestiti
dello 0,7%. Oggi le banche stanno meglio che nel 2012, è vero, ma da
inizio maggio i rendimenti dei bond sovrani sono saliti già dell’1,7%.
Non a caso nella tempesta di giugno scorso sul debito pubblico, i
prestiti alle imprese crollarono dell’8% rispetto a un anno prima. Per
ora le banche hanno cercato di non trasferire troppo ai clienti gli
aumenti dei costi ai quali si finanziano, ma presto dovranno alzare di
netto i tassi sui mutui o i prestiti alle imprese, erodendo gli utili e
il potere d’acquisto. Difficile crescere se sale lo spread, cioè lo
scarto nei rendimenti fra titoli italiani e tedeschi. E da maggio lo
spread è più che raddoppiato.
Senso unico?
Dunque dovrebbe
scendere perché la ripresa riparta e i conti di Di Maio, Salvini, Tria e
Savona tornino. Può farlo? Fino a ieri due fattori lo avevano tenuto a
bada: gli acquisti della Banca centrale europea e la speranza che Tria
controllasse le pressioni di Di Maio e Salvini. Ma da stamattina il
programma della Bce dimezzerà a livelli minimi gli acquisti per l’area
euro e per l’Italia, mentre il carisma di Tria come cerbero dei conti si
è appannato. Gli investitori dunque corrono molti meno rischi di
bruciarsi puntando contro la carta italiana e lo faranno senza remore;
lo spread resterà alto e il piano del governo di controllo del debito
tramite la crescita in deficit rischia di saltare. A meno che non fosse
tutto solo una foglia di fico sulla realtà di spese davvero eccessive.