lunedì 1 ottobre 2018

Il Fatto 1.10.18
La réclame della banca
Luci e ombre – il murales “Parthenope” di Francisco Bosoletti, rione Materdei


Napoli, multiculturale da sempre perché “nata da mille sangui” (così, nel Seicento, Giulio Cesare Capaccio), è una città carica di futuro: capace di mostrarcelo, il futuro, di anticiparlo. Di aiutarci a costruirlo. Nel gran ventre della città, tra abissi di abbandono e contraddizioni laceranti, tante comunità (associazioni, comitati, quartieri, gruppi…) sentono in modo nuovo e radicale l’importanza dei beni comuni: è “un altro modo di possedere” (per usare il titolo di un celebre libro di Paolo Grossi), l’opposto della “sacralità” della proprietà privata di cui farnetica il capo della Lega, bestemmiando spirito e lettera della Costituzione.
L’amministrazione di Luigi de Magistris, pur tra tanti limiti, ha saputo interpretare e alimentare questo spirito che soffia dal basso: uno spirito felicemente ribelle. E c’è una storia, tra tante, che permette di raccontarlo.
Il pomeriggio del 9 giugno scorso Francisco Bosoletti si faceva largo nella folla che pulsa senza riposo in via Toledo. In tutto pensava di potersi imbattere, questo giovane artista argentino, tranne che nella sua Parthenope: il bellissimo murale alto quindici metri che egli stesso aveva realizzato esattamente quattro anni prima, in una zona di Napoli assai meno fortunata, Materdei. Eppure, la sua fascinosa sirena, la mitica genitrice della città, era proprio lì, davanti ai suoi occhi: stampata su un grande banner pubblicitario di una mostra nella sfarzosa sede di Banca Intesa. Contrariamente a quanto avrebbe probabilmente pensato la maggioranza dei suoi colleghi, Bosoletti non fu contento di quella inaspettata e gratuita pubblicità. Perché a Napoli aveva imparato “un altro modo di pensare”: e si domandò se fosse giusto che un’opera ideata dall’associazione “il Fazzoletto di Perle” e realizzata attraverso una sottoscrizione popolare organizzata dal comitato “Materdei R_esiste” (che riunisce associazioni e cittadini del quartiere) servisse ora a legittimare l’immagine, e dunque a promuovere tutti gli affari di un impero finanziario.
Così, come nelle favole, il piccolo Bosoletti prese carta e penna, e scrisse alla grande banca: “Notando i cartelloni pubblicitari all’ingresso del palazzo, sono entrato per chiedere una spiegazione di quello che stava accadendo. Né il curatore della mostra né i responsabili della galleria di Palazzo Zevallos mi hanno dato una risposta pertinente, declinando invece le loro responsabilità sui diritti di utilizzo della mia opera, che mai ho chiesto, e rimarcando la popolarità e il prestigio dell’evento come valorizzazione del mio lavoro e incremento di visibilità per le mie opere. Parthenope non porta solo la mia firma, ma quella di un’intera città che l’ha commissionata dal basso, con un’azione di mecenatismo popolare. La sirena sulla cui tomba è nata Napoli tornava a produrre cittadinanza con l’esercizio di una prerogativa tipica dei sovrani di antico regime, e cioè la commissione di opere d’arte: cittadini non certo ricchi che si tassavano per avere più arte e bellezza. Avrei immaginato che chi professa la divulgazione dell’arte come un motore dell’educazione e del progresso sociale contemplasse il rispetto degli artisti come un suo prioritario dovere. Ma utilizzare senza neanche dirmelo la Parthenope come immagine promozionale di una mostra, per la quale è anche richiesto un biglietto d’ingresso, a mio parere non è solo un mancato riguardo nei confronti di chi l’ha dipinta. È anche un insulto a quel popolo sovrano che Parthenope incarna”.
A fronte di questa pacatissima e dura chiarezza di idee colpisce, per incapacità di ascolto e “modalità predefinita”, la risposta della banca: che, rivolgendosi direttamente dal quartier generale di Milano alla presidente del “Fazzoletto di perle” (la quale nel frattempo aveva espresso tutto il suo sdegno), ha scritto: “La mostra alle Gallerie di Palazzo Zevallos Stigliano, come le precedenti, rappresenta un evento culturale per la città, per promuoverne la storia e il ricco patrimonio artistico… Il Gruppo Intesa Sanpaolo, attraverso il progetto Gallerie d’Italia, nelle tre sedi museali di Milano, Napoli e Vicenza, si propone infatti di valorizzare l’arte e la cultura dei territori di riferimento attraverso l’esposizione al pubblico di opere di proprietà e l’organizzazione di ricorrenti iniziative espositive… Dal canto nostro riteniamo di aver dato lustro al murale dell’artista proprio perché inserito in questo contesto di pregio accanto a collezioni di importanti opere appartenenti a epoche diverse, tutte testimonianza della più alta arte napoletana”.
Uno scambio davvero eloquente: perché dimostra che il problema non è giuridico (i diritti), né formale (il mancato coinvolgimento dell’artista). Il problema è più profondo, antropologico: una irriconciliabile lontananza di linguaggi, cioè di visione del mondo. Da una parte si parla la lingua della democrazia, della cittadinanza, dell’arte pubblica come bene comune non commerciabile: dall’altra si pensa e si parla secondo il vangelo del marketing e della “valorizzazione”, ossequiando il dogma della proprietà dell’arte “di pregio”. Da un lato si crede che ciò che è comune sia di tutti, e dunque non possa avere padroni senza snaturarsi: dall’altra si pensa che le cose comuni sono di nessuno, e che dunque sia normale impadronirsene.
Non si tratta di una particolare “cattiveria”: ma dell’impossibilità anche solo di immaginare un modo diverso di guardare il mondo.
Un altro modo di possedere, e dunque di “vedere” un futuro diverso si oppone allo stato delle cose, con i suoi eterni rapporti di forza. Qualcosa, nel senso comune, sta cambiando: partendo da Napoli. E dalla sua eterna sirena, Partenope.