lunedì 1 ottobre 2018

Il Fatto 1.10.18
Il bestiario della scuola: ridere per non piangere
di Gianmarco Perboni


È in libreria “Nuove perle a nuovi porci” di Gianmarco Perboni (pseudonimo di deamicisiana memoria): ce n’è per tutti, soprattutto per una certa retorica assolutoria sui mali della scuola. Ne pubblichiamo un estratto.
Sono passati nove anni dal precedente bestseller Perle ai porci, che nel 2009 aveva suscitato non poche polemiche. D’altra parte un “insegnante-carogna” come quello che si cela dietro lo pseudonimo Gianmarco Perboni sa bene a cosa va incontro quando decide di portare la satira in classe e soprattutto nei corridoi e nei consigli scolastici. Di sicuro l’autore non conosce i tabù, vuole parlare liberamente. Il risultato? Fa ridere a crepapelle, pur con amarezza, perché le vivide e realistiche scenette raccontate svelano in quali condizioni di colpevole trascuratezza versi il sistema educativo del nostro Paese.
È severamente vietato menare gli alunni
“Professore, mi scusi. Se non le è di disturbo, vorrei chiedere il permesso di uscire”. Detta da chiunque altro, una frase simile mi suonerebbe come una presa per i fondelli. Invece proviene da Smutkovic Dragan, da poco arrivato da un Paese che forse è l’Uzbekistan o magari l’Azerbaigian o vattelappesca, e so che è autentica. In una cosa ho ormai acquisito una certa esperienza. Quando arriva un nuovo extracomunitario (e ne arrivano a pioggia; di questo avrò occasione di riparlare, ci scommetto) so giudicare con buona approssimazione se e quanto abbia già frequentato scuole italiane. Il neofita tace, ascolta l’insegnante, non lo interrompe, parla solo se interrogato, chiede le cose per favore e addirittura (incredibile dictu) ringrazia. Occorrono dai tre ai cinque mesi perché si omologhi agli studenti italiani: chiassoso, disattento, invadente, maleducato e cafone. Il ruolo dell’insegnante potrebbe assomigliare a quello di un pastore che badi un gregge di pecore belanti, ma non è così. Il pastore ha il vantaggio del cane, che si occupa degli ovini recalcitranti. L’insegnante ne è privo, perché non può operare come il fortunato insegnante di un Paese balcanico. Al termine della lezione costui si metteva sulla porta e gli studenti uscivano uno a uno. Chi si era ben comportato poteva andarsene indenne, agli altri toccava di incassare una sonora sberla. In Italia la legge, incomprensibilmente, lo proibisce.
Non svegliare il cane che dorme
Meacci Sara mi segnala a gesti che il suo compagno di banco, Meca Valerio, dorme sonni beati con la testa appoggiata sul banco. Urgono provvedimenti. Mi reco all’armadietto di classe, dove so che c’è un cuscino. Lo prendo e, aiutato da Meacci, lo faccio scivolare sotto la testa di Meca, affinché possa dormire più comodamente. Quando è sveglio, Meca rompe costantemente i coglioni. Meglio, molto meglio lasciarlo dormire in pace.
Le chat dei genitori su WhatsApp
Leggo a caso dei messaggi sulla chat dei genitori della classe della figlia di una mia amica.
Aly Brocca: “Ho pesato ora quello di mio figlio 15 kg e 75!!!!!! (seguono 7 faccine con espressioni accigliate).
Ory Gullani: “Poverino!!!!!! Ma come si fa????? (seguono quattordici – dicansi 14 – faccine con varie espressioni disgustate) Al mio ho fatto togliere due libri dopo che ho scoperto che pesava 16 kg e 40. Eccheccazzo!!!! Quella rincoglionita di italiano si è messa in testa di farli leggere anche altri libri in più a quelli di scuola. Ma che si crede???? Che io vadi a lavorare per comprarci i libri???? (faccine con la linguaccia, quante non so, perché rinuncio a contarle).
“Scusa, ma cosa fanno? Pesano gli zaini scolastici?”, chiedo un po’ sorpreso alla mia amica. “Sì, è una delle ultime trovate. D’altra parte qualcosa dovremo pur fare per occupare il tempo”. “Magari un corso di italiano… Ma litigi? Ce ne sono?”, chiedo alla mia amica. “Scherzi? È una rissa continua. Ci trovi quelle che non vogliono altro. Aggiungici la difficoltà per molte di loro a esprimersi per iscritto, che spesso le mamme straniere scrivono meglio di quelle italiane, e la cosa è fatta”.
Giusy Brea (ce ne fosse una il cui nome non finisce con Y): “Cosa vorresti dire Patry?”.
Patry D.: “Niente. Qualmente quello che ho detto”.
Ory Gullani: “Secondo me Patry voleva dire che non cè bisogno di stare a preoccupassi”.
Giusy Brea: “Te fatti i cazzi tua. Fallo dire a Patry quello che intendesse dire”.
Patry D.: “No adesso basta. Io questo lignaggio morale non lo accetto più. Adesso esco dal gruppo”.
Giusy Brea: “Pure me”. “Poi però il giorno dopo sono amiche, si fa per dire, come prima. Esattamente identiche ai bambini piccoli”, conclude la mia amica.
Le perle d’esame
e quelle nei corridoi:
“Sei mai stata in un museo?”. “Sì, a Palazzo Pitti”. “E cosa hai visto?”. “I Malavoglia!”. Sconcerto della commissione. Tramite caute domande si giunge a scoprire che la studentessa intendeva riferirsi ai Macchiaioli.
Riferisce la collega di geografia che uno studente le ha appena parlato del muro di Dublino.
Grande indecisione nel campo dell’arte. Vince la pittura: “Van Gogh dipinse questo quadro mentre era ancora in vita”, oppure la musica: “Il grande musicista Debussy visse fino alla sua morte?”.
“Prof, prof, c’è una parola inglese che non capisco”. “Ah sì? E quale sarebbe?”. “Shakespeare”.
“Sul soffitto o si trovano alcuni nei”. Affermazione criptica. Si capirà che non si sta parlando di dermatologia quando apprendiamo che lo studente intendeva scrivere il plurale di neon.