Il Fatto 1.10.18
Crescita e investimenti, le tre manovre diverse di Tria, Conte e Savona
Cifre che non tornano - Premier e ministro dell’Economia più cauti sull’impatto positivo sul Pil
di Stefano Feltri
Non
è finita, anzi, è appena cominciata. Per cogliere la tensione dentro al
governo sulla legge di Bilancio basta incrociare l’intervista del
ministro dell’Economia Giovanni Tria (Sole 24 Ore), quella del premier
Giuseppe Conte (Corriere) e l’intervento del ministro degli Affari
europei Paolo Savona (Fatto). I numeri che presentano sono diversi e
tradiscono la divergenza di vedute sulla Nota di aggiornamento del
Documento di economia e finanza di cui conosciamo soltanto l’obiettivo
di deficit, 2,4 per cento del Pil per tre anni, visto che i tecnici del
Tesoro stanno ancora lavorando sulle simulazioni dopo che il Consiglio
dei ministri giovedì ha approvato numeri diversi da quelli portati da
Tria.
Tria, come Savona, osserva che il deficit lasciato in
eredità dal governo Gentiloni per il 2019 non è lo 0,8 per cento
concordato con la Commissione ma, per effetto della bassa crescita, 1,2.
A questo però vanno aggiunti i 12,5 miliardi per evitare l’aumento
dell’Iva, che il governo Conte ha deciso di spendere in deficit, come
gli esecutivi precedenti. Il vero deficit, quindi, partiva da 2 per
cento. Il messaggio di Tria è chiaro: ho ceduto soltanto sullo 0,4, cioè
6 miliardi (una posizione che contraddice però il suo impegno
precedente a pretende un deficit 2019 all’1,6 per cento).
Le
differenze sono sull’impatto della manovra, tra reddito di cittadinanza,
investimenti e riforma delle pensioni. Savona scrive che l’insieme di
queste misure “può portare a una crescita nel 2019 di circa il 2 per
cento e crescere ancora di mezzo punto percentuale all’ anno,
raggiungendo (…) il 3 per cento”. Tria, ma anche Conte, danno una stima
più bassa: 1,6 nel 2019 e 1,7, abbastanza – dice Tria – per far scendere
il debito di un punto percentuale nel triennio (messaggio a Bruxelles).
Tria
annuncia poi un dettaglio cruciale che nessuno degli altri ministri del
governo ha mai citato: “Una clausola che prevede la revisione della
spesa in modo che l’obiettivo di deficit per i prossimi anni non sia
superato rispetto al limite posto”. Una frase che conferma il sospetto
di molti: che le misure annunciate non siano compatibili con quel
livello di deficit ma ne richiedano uno più alto, forse sopra il 3 per
cento. Per questo ci saranno clausole di salvaguardia che fanno scattare
tagli automatici di spesa (quella per le detrazioni fiscali?) se
l’impatto sulla crescita del misure non è tale da finanziarle con un
aumento di gettito. É l’ultima carta rimasta a Tria da giocare nella
trattativa con Bruxelles, ma chissà se Cinque Stelle e Lega sono
d’accordo. L’ultima volta che un governo ha lasciato una clausola di
quel tipo era il 2011, con il ministro del Tesoro Giulio Tremonti che
aveva previsto tagli lineari di 20 miliardi alle detrazioni fiscali in
assenza di una riforma delle pensioni o di altri interventi di pari
entità. Tre mesi dopo quella manovra l’Italia sfiorava il default.
Anche
sugli investimenti i numeri non tornano. Conte parla di “38 miliardi
nei prossimi 15 anni e altri 15 nel prossimo triennio”. I primi sono
stati deliberati dai governi Renzi-Gentiloni, i 15 da questo esecutivo.
Tria chiarisce che gli investimenti valgono “circa due decimali di Pil
aggiuntivi per il 2019, per poi arrivare a quattro decimali (6,5
miliardi) aggiuntivi nel 2021”. Quindi il grosso dell’intervento non
parte subito, ma fra due anni, con effetti che quindi si vedranno ancora
più avanti. Savona parla di “un aumento degli investimenti nell’ordine
di almeno l’1 per cento di Pil, di cui la metà su iniziativa dei grossi
centri produttivi di diritto privato dove lo Stato ha importanti
partecipazioni”. Quindi in quel conto ci sarebbero pure gli investimenti
di Enel, Leonardo, Eni, che di solito non vengono conteggiati.
Per
capire come queste diverse versioni della stessa manovra si
concilieranno bisognerà il testo ufficiale della Nota di aggiornamento
al Def.