Il Fatto 12.10.18
Intervista
“Ora le scuse di Salvini, La Russa, Giovanardi”
La sorella Ilaria - “Le aspetto da tutti quelli che hanno insultato negando la verità che sosteniamo da sempre”
di Silvia D’Onghia
“La
Russa, Giovanardi, l’attuale ministro dell’Interno, il sindacalista
della Lega Tonelli”. Non è un elenco del telefono, ma quello delle
persone che dovrebbero mettersi in fila per chiedere scusa. Nel giorno
in cui il processo per la morte di suo fratello è a una decisiva svolta –
dopo “appena nove anni” – Ilaria Cucchi passa la giornata tra telefono,
microfoni e telecamere. Era da molto che aspettava questo momento e,
anche se sa che la strada per arrivare alla verità non si è per niente
conclusa, può portare a casa, da mamma Rita e papà Giovanni, un
risultato importante.
Ilaria Cucchi, chi dovrebbe chiedere scusa?
Tutti
quelli che in questi anni hanno insultato Stefano, me e la mia
famiglia, che hanno voluto negare quella verità che sosteniamo fin dal
principio e che oggi è entrata in aula dopo nove anni di battaglie.
Facciamo i nomi?
Ignazio
La Russa, all’epoca ministro della Difesa, che appena venne fuori il
‘caso Cucchi’ si affrettò a difendere l’Arma dei carabinieri. Carlo
Giovanardi, secondo il quale mio fratello era solo un povero spacciatore
che sarebbe morto non per le violenze ma di inedia e di sciopero della
fame. Il sindacalista della polizia e leghista Gianni Tonelli, che parlò
di ‘vita dissoluta per le quali si pagano le conseguenze’. E poi
l’attuale ministro dell’Interno.
Matteo Salvini.
Non lo nomino neanche.
Non si è scusato per aver detto che un suo post faceva “schifo”, ma ha invitato lei e la sua famiglia al Viminale.
Adesso ha detto che mi riceverà: non mi interessa proprio.
E l’attuale ministra della Difesa, Elisabetta Trenta? Anche lei dovrebbe scusarsi?
No,
e di che? Ha annunciato che vuole incontrarmi: sarò lieta di farlo. Io,
i miei genitori e il mio avvocato la vogliamo ringraziare.
Dagli
atti viene fuori un’annotazione di servizio prodotta dal carabiniere
Francesco Tedesco e poi sparita. All’epoca quale fu l’atteggiamento dei
vertici dell’Arma?
Il comandante provinciale, Vittorio Tomasone (oggi
generale di corpo d’armata, ndr) telefonò a casa di mia madre per farle
le condoglianze e per dirle che avevano fatto le loro verifiche
interne, dalle quali sarebbe emerso che i carabinieri non avevano alcuna
responsabilità nella morte di suo figlio. Mentre oggi sappiamo di una
riunione collegiale con le persone interessate e sappiamo che fu
quantomeno modificata una annotazione di servizio.
Questo non significa che i vertici sapessero, però.
No,
certo. Ma sono sicura che la Procura di Roma vorrà andare avanti, per
stabilire – o escludere – che qualcun altro sapesse cosa subì mio
fratello in quella caserma.
Si aspettava una svolta come questa?
Ci
speravo. Io e la mia famiglia sono nove anni che combattiamo, abbiamo
sempre saputo la verità e finalmente ieri è entrata anche in un’aula di
giustizia.