domenica 7 ottobre 2018

Corriere La Lettura 7.10.18
I bambini di Asperger, Marsilio editore
Asperger aiutò i nazisti ma anche la psichiatria
È giusto denunciare, come fa Edith Sheffer, la complicità del medico austriaco con le pratiche eugenetiche del Terzo Reich. Ma bisogna
riconoscere che i suoi studi sull’autismo si sono dimostrati validi
Non si possono ridurre le scienze della mente al contesto storico in cui nascono né condannarle in blocco come figlie di un atteggiamento autoritario che schiaccia l’individuo verso una supposta norma
di Giancarlo Dimaggio


Rivedremo Kevin Spacey recitare? Ci sarà un altro Frank Underwood, genio perverso? Difficile. Spacey, molestatore seriale, è ormai persona non gradita. Questo sminuisce il suo talento? No. Vedremo ancora Hans Asperger nelle classificazioni delle malattie mentali? Per un po’ sì, anche se è già relegato nelle note. Poi scomparirà, superato dalla scienza. Espulso con disonore?
Chi era Asperger? Psichiatra infantile, operò a Vienna sotto il nazismo. Descrisse lo «psicopatico autistico»: da lui viene l’eponimo per gli autistici ad alto funzionamento, con intelligenza preservata, a volte con aree di funzionamento eccezionale. Faticano a capire i pensieri e le emozioni degli altri, sono quindi carenti nella cosiddetta «teoria della mente». Una ricerca di Livia Colle, dell’Università di Torino, con una autorità del campo, Simon Baron-Cohen, mostra che adulti con la sindrome di Asperger non riconoscono bene le emozioni negative nelle facce. Il loro comportamento è stereotipato, ripetitivo, trascurano le relazioni sociali, mancano di reciprocità e simpatia per chi soffre, monologano più che conversare. Faticano a cambiare rotta una volta iniziato un comportamento.
La psichiatria cancella Asperger: l’eponimo è sparito dal Dsm 5 (il manuale diagnostico più diffuso) ed è marginale nell’Icd 11 (la classificazione internazionale delle malattie dell’Organizzazione mondiale della sanità). Si parla ora di disturbi dello spettro autistico, problemi simili a livelli differenti di gravità e funzionamento.
Asperger è stato solo uno psicopatologo acuto, superato dal progresso? Purtroppo no. Edith Sheffer nel libro I bambini di Asperger (Marsilio) ne mostra il lato oscuro, ci accompagna nell’abisso: ha contribuito a usare diagnosi di autismo e disabilità per sostenere l’eugenetica nazista. È stato complice dell’orribile Erwin Jekelius, direttore della «Clinica di pedagogia curativa Spiegelgrund». Si intuisce che cosa vi accadesse? Riporto dal libro di Sheffer, in memoria della piccola Ulrike Mayerhofer, diagnosticata come «gravemente autistica, praticamente inaccessibile dall’esterno». Trasferita allo Spiegelgrund, venne richiesto di sopprimerla. Un mese e mezzo dopo morì, ufficialmente di polmonite.
Sheffer narra di decine di bambini disabili, prima etichettati, poi mandati a morire. Asperger era lì, operava dietro le quinte, mai esplicitamente nazista, sicuramente coinvolto. Dovevo verificare. Scopro che Herwig Czech, dell’Università di Vienna, si è occupato dello stesso argomento, in contemporanea a Sheffer, sulla prestigiosa rivista «Molecolar Autism». E conferma che Asperger contribuì alla soppressione di bambini «inadeguati», devianti dall’ideale ariano.
Sheffer e Czech riscrivono una pagina di storia. Che conclusioni ne traggono? Divergenti. Sheffer ha un approccio antidiagnostico, che non condivido. Riduce le osservazioni di Asperger al contesto — oggettivamente mostruoso — nel quale le formulò. Non possiamo accettare il termine «psicopatia autistica», che implica una devianza sociale, ma la descrizione della sindrome era valida. Oggi la si considera la forma meno grave dello spettro autistico, il Dsm 5 parla di Livello 1, ovvero lieve, ma comunque bisognoso di supporto.
Sheffer nega invece il valore scientifico di quelle osservazioni che, secondo lei, nate nella cultura nazista, riprendono vigore in una società votata «all’ansia di integrazione in un mondo perfezionista». Psichiatri e psicologi che trattano le persone con autismo sarebbero guidati dall’«obiettivo di inculcargli sentimenti, pensieri e interazioni con il mondo… C’è chi parla di “curare” o “guarire” i bambini». Vede un mondo volto a etichettare e di conseguenza a stigmatizzare.
Czech, al contrario, sostiene che le osservazioni scientifiche di Asperger erano valide, non contaminate dalla complicità col nazismo. La documentazione storica di Sheffer è preziosa, le sue deduzioni e conclusioni no. Intanto due autori che peraltro cita, Frankl e Weiss, ebrei, formularono le stesse osservazioni negli stessi luoghi di Asperger, prima di lui, e lo ispirarono. In modo più compassionevole, ma descrivevano gli stessi fenomeni e i loro occhi non erano offuscati dal delirio razziale. Poi, chi ha davvero creato problemi a persone affette da autismo è Bruno Bettelheim, peraltro sopravvissuto a Dachau e noto per avere maltrattato bambini. S’inventò di sana pianta che l’autismo era causato dalle «madri frigorifero». Le ricadute di questa assurdità sulle famiglie sono state tremende. Le sue teorie erano insensate, anche se le formulò un ebreo scampato all’Olocausto, perché era uno scienziato scadente.
Ridurre le scienze della mente al contesto storico è rischioso. Così come lo è considerare le diagnosi formulate da psichiatri e psicologi come figlie di una cultura che schiaccia l’individuo verso una supposta norma. Sheffer, lo riconosco, segnala alcuni problemi reali: la diagnosi può essere usata per dare più medicine o diventare uno strumento al servizio dello stigma. Chi fa il mio lavoro può adottare una posizione paternalistica e trincerarsi dietro etichette per risparmiarsi la fatica di capire, empatizzare e curare: «È psicotico, autistico, non perdiamo tempo, un po’ di farmaci e via». È un fatto, come nota Sheffer, che la diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività abbia portato all’aumento ingiustificato di prescrizioni di Ritalin.
Ma dare nomi alle malattie è inevitabile. La mente umana funziona classificando: si legga Kant e l’ornitorinco di Umberto Eco. Raggruppare concetti, oggetti, uomini in categorie è necessario per trasmettere conoscenza. Con la diagnosi identifichiamo fenomeni ricorrenti e così passiamo il sapere acquisito alle generazioni future. Poi, il terapeuta saggio conosce categorie, ma cura individui. Questo facciamo, e oggi usiamo la formula: «persona affetta da… autismo, schizofrenia» e non più «autistico» o «schizofrenico».
Temple Grandin è la protagonista del libro di Oliver Sacks Un antropologo su Marte. Affetta da autismo ad alto funzionamento, ha inventato la macchina degli abbracci che calmava le mucche che allevava. Intervistata, non ha problemi a riconoscere di essere affetta da autismo. Ci tiene solo a essere considerata prima allevatrice di bestiame e poi affetta da autismo. La diagnosi non le ha peggiorato la vita. Rivedremo House of Cards sapendo che Spacey ha compiuto azioni esecrabili, ma resta un attore ineguagliabile. Leggeremo gli scritti di Asperger sapendo che osservazioni più accurate hanno superato le sue, e che lui ha anche agito servendo il male. Psichiatri e psicologi potranno sbagliare, ma in gran parte faranno diagnosi per capire. Al fine di curare meglio.