domenica 7 ottobre 2018

Corriere 7.10.18
Le 10 scritture (più una) che nessuno capisce
Tavolette, iscrizioni, incisioni sono state trovate in tutto il mondo, ma le forme per trascrivere le parole pronunciate sono nate da quarreo focolai; Cina, Egitto, Mesoamerica, Mesopotamia. Alcune restano un rompicapo
Un bando eeuropeo per studiare  le origini dell’alfabeto e della comunicazione non verbale
di Silvia Ferrara


Perché il mistero ci affascina? Forse perché lancia una sfida alla nostra creatività, mette alla prova intuito, dedizione, metodo. Cruciverba, gialli, complotti, amori irrisolti: stregano perché sono elusivi. Ci ricordano che l’impulso a svelare la realtà è da sempre un gioco a metà, una tensione destinata a lasciare in sospeso. Il mistero è parte della vita anche nelle piccole cose, quelle che diamo per scontate, come le parole di questo testo, leggibili apparentemente senza sforzo.
La scrittura è forse la più rivoluzionaria invenzione dell’uomo. Eppure le sue origini restano misteriose. Fino a un paio di generazioni fa, l’idea prevalente era di un’unica invenzione, avvenuta in Mesopotamia, seimila anni fa: da qui si sarebbe diffusa la scrittura. Oggi, invece, ipotizziamo quattro invenzioni (in Cina, Egitto, Mesoamerica e Mesopotamia), anche se altri focolai creativi sono possibili (la Valle dell’Indo o l’Isola di Pasqua). Dunque le scintille sono state molteplici, ma dove, quando e perché si siano accese rimane una questione insoluta. Non tutte le scritture poi sono state decifrate, e non tutte le lingue che esse registrano identificate. Oggi contiamo quasi una dozzina di casi irrisolti, alcuni dei quali forse non sono definibili nemmeno come scrittura (come i «segni» neolitici della cultura Vinca). Tra gli esempi indiscussi, invece, quattro provengono dal Mare Egeo (Creta e Cipro) e rappresentano i più antichi testi scritti in Europa. Le prime scritture del Vecchio continente sono dunque le meno comprensibili.
Leggere e decifrare sono azioni molto diverse. L’una implica assegnare a specifiche lettere suoni già conosciuti, nell’istante in cui i segni colpiscono la nostra retina. L’altra implica assegnare valori fonetici a una scrittura non nota, riconoscerne la struttura interna e identificarne la lingua. Può richiedere una vita intera. La scienza della decifrazione ha, però, un futuro se prospettive multidisciplinari (machine learning, data science, analisi paleografica, linguistica, archeologica) agiscono in sinergia. Nel giro intorno al mondo delle scritture indecifrate, e del potenziale di decifrazione, partiamo dall’Europa. E da un codice medievale. Poi, rotta verso est.
Manoscritto Voynich
Un libro di 200 pagine, che nessuno ha mai letto. Datato con il carbonio 14 al XV secolo, prende il nome da un mercante di libri polacco che lo comprò nel 1912 a Frascati. Diventato un fenomeno di culto, il libro è minuziosamente illustrato con immagini fantastiche: fiori e piante chimeriche, silhouette di donne svestite, tripudi di diagrammi alchemici. La cosa più strana però è la scrittura, con i suoi caratteri sinuosi e arzigogolati, mai visti in nessun altro testo. Diversamente dalle scritture descritte qui, che sono tutti sillabari, il sistema Voynich è un alfabeto (i segni sono una trentina). Tecniche di machine learning hanno festeggiato il decoding: ma la strada è ancora lunga («la Lettura» #339 del 27 maggio).
Geroglifico cretese
È la scrittura più antica del continente. Il suo nome è ispirato al geroglifico egiziano, ma impropriamente, perché né discendenza diretta, né somiglianza grafica li legano. I «minoici», popolazione così chiamata dal re Minosse all’inizio del secondo millennio a.C., creano un sistema di scrittura nuovo, i cui segni iconici — il termine «pittografico» è impreciso — sono mani, occhi, animali, utensili che registrano sillabe e logogrammi (parole intere). Gli artigiani incidono sigilli di pietra con sequenze brevi, gli scribi iscrivono barre e noduli di argilla. Così si controllavano gli import/export dei palazzi.
Lineare A
Quasi contemporanea al geroglifico cretese, la Lineare A segna l’apogeo dei palazzi monumentali minoici. Dalla Lineare A, che troviamo principalmente su tavolette di argilla, deriva la Lineare B, unico sillabario egeo decifrato, 50 anni fa, dall’architetto inglese e poliglotta Michael Ventris. La Lineare B registra una forma di greco molto antico, di 500 anni antecedente l’Iliade. Ventris l’ha decrittata avvalendosi solo dell’analisi statistica delle frequenze dei segni. Le due scritture lineari si somigliano, ma i valori fonetici della Lineare B non ci aiutano a identificare la lingua della Lineare A (diffidate di chi dice il contrario). Si tratta di un classico caso di scrittura leggibile e di lingua, forse, sconosciuta.
Cipro-minoico
Sull’isola di Cipro, quasi 4 mila anni fa viene adottata una scrittura sillabica, chiamata cipro-minoico, discendente dalla Lineare A. Benché ancora indecifrata, studi recenti regalano molti indizi. Il cipro-minoico compare su una varietà di oggetti, tra cui sfere di argilla che recano, probabilmente, nomi di individui di alto rango. A che cosa servivano? Una teoria è che fossero usate nei sorteggi: Cipro nel II millennio a.C. era uno snodo vitale per il commercio del rame (in latino cuprum) e molte «biglie» sono state trovate in laboratori industriali vicino ai santuari. Forse i sorteggi assegnavano i compiti agli addetti alla lavorazione del rame e ai riti religiosi.
Disco di Festo
Il Disco di Festo, famigerato tra gli esperti, mitizzato dai cretesi, riconoscibile come la gondola a Venezia o il Colosseo a Roma, non solo è preda del marketing, ma soprattutto parte di un’idea stessa di «grecità», anche se con la lingua greca ha poco a che fare. Contemporaneo della Lineare A, è il primo oggetto della storia stampato a caratteri mobili, una specie di «modello Gutenberg» dell’antichità. Un esemplare unico: 244 segni, tutti iconici, nessun indizio per decrittarlo. «Se Minosse in persona mi desse la chiave in sogno, nessuno mi crederebbe», diceva ironicamente uno dei padri decifratori della Lineare B. Chi pensa sia un falso sbaglia, ma è pur sempre un enigma senza soluzione.
Sillabario di Biblo
Semi-sconosciuto, dalla città sulla costa libanese che ha regalato al mondo la parola «libro» (byblos in greco), il Sillabario di Biblo, datato alla stessa fase delle scritture egee, è attestato su una manciata di tavolette di bronzo, spatule di metallo e stele di pietra. Alcuni segni sembrano derivare da una forma corsiva di egiziano, altri richiamano l’alfabeto fenicio più tardo. Che il Sillabario possa essere un trait d’union tra queste scritture è possibile, come è attendibile che la lingua registrata sia un dialetto semitico nord-occidentale (come il fenicio). Le ultime ricerche continuano a pronunciarsi poco su una potenziale decifrazione, soprattutto perché le iscrizioni sono poche (una decina) e i testi scarni.
Proto-elamita
Ci spostiamo a est e torniamo indietro di quasi due millenni (3200-2900 a.C.), nella regione sud-ovest dell’Iran odierno, dove troviamo la scrittura indecifrata più antica del mondo: migliaia di tavolette di argilla iscritte in un sistema relativamente simile al cuneiforme di primissima generazione, con caratteri lineari. Siamo agli albori della scrittura in tutta la Mezzaluna fertile, quando annotazioni e liste d’inventario vengono usate per il management agricolo; alcuni testi sono però molto più lunghi. Quindi di che cosa scrivevano nell’Elam? Per scoprirlo, un gruppo di ricerca di Oxford sta digitalizzando le iscrizioni con immagini ad altissima risoluzione (Rti) e trascrizione online. Nel definire i caratteri e le sequenze, il progetto ha evidenziato che gli scribi di 4 mila anni fa facevano anche errori di ortografia.
Harappan
Ancora più a est, nel III-II millennio a.C. (2600-1900 a.C.), troviamo la civiltà lungo la Valle dell’Indo, detta Harappan (uno dei suoi siti più importanti è Mohenjo-Daro, in Pakistan); le prime iscrizioni di questa zona sono molto brevi, con segni iconici, tanto che gli studiosi oggi dibattono se in realtà non rappresentino un sistema non-linguistico (icone araldiche ed emblemi, tra cui l’«unicorno») impresso su sigilli e amuleti. Analisi statistiche sembrano confutare questa ipotesi: le sequenze si comportano come parole, non con la distribuzione random o rigida di disegnini sparsi. È probabile che la lingua codificata sia un dialetto dravidico preistorico, ma prima la struttura interna della scrittura deve essere definita, anche applicando tecniche di machine learning.
Rongorongo
La scrittura può nascere anche in luoghi inaspettati, come in mezzo al Pacifico. Qui, gli abitanti dell’Isola di Pasqua concepiscono tre secoli fa e senza influenze esterne il Rongorongo, che nella lingua di Rapa Nui significa «recitare recitare». Esistono meno di 40 iscrizioni su tavolette di legno, materiale sfruttato fino alla deforestazione dell’isola. Centinaia di segni minuscoli e compatti, forse sillabici. Il Rongorongo è così poco studiato che non esiste un catalogo di tutte le iscrizioni, né un repertorio definitivo dei suoi segni. Le possibilità di decifrazione potrebbero aumentare, però, perché i testi sono corposi, e il repertorio grafico è facile da definire.
Epi-olmeco
La scrittura Maya fa da padrona per tutta l’epoca preispanica in America centrale, ma è la scrittura epi-olmeca (o istmiana, dall’istmo di Tehuantepec) a segnarne il vero inizio, mille anni prima, dal 500 a.C. circa. Simili al sillabario Maya, quasi del tutto decifrato e in costante perfezionamento, l’epi-olmeco e il suo cognato zapoteco sono dei grattacapo. Nei pochi testi fruibili troviamo indicazioni legate a calendari e computi, generi che nel periodo Maya classico sono diffusissimi. Un aspetto molto intrigante sta nel fatto che l’epi-olmeca è una scrittura complessa, che codifica testi lunghi: questo presuppone antecedenti, a noi oggi invisibili, meno articolati. Insomma, non si vede ancora il vero incipit delle scritture americane.
Il QR illeggibile
Chiudiamo con un «segno» moderno, ma di lettura difficile quanto le scritture antiche descritte sopra. Leggere è un’azione innaturale, frutto di trasmissione culturale e non dell’evoluzione dell’uomo. È troppo recente l’invenzione della scrittura, per esser parte dell’hard-disk del cervello. Nel corso dei millenni, i neuroni hanno quindi riciclato aree cerebrali preposte a captare altro: il solco laterale occipito-temporale sinistro, che riconosce forme e contorni degli oggetti, sembra essersi riqualificato per distinguere anche le forme dei segni. Anche questi ultimi si sono a loro volta adattati alla nostra percezione del mondo, semplificandosi in contorni, linee, segmenti. Per questo motivo un codice QR viene identificato subito da un smartphone, ma elude, come un cruciverba impossibile, la nostra retina.