Corriere 4.10.18
Riflessione sull’indifferenza globale
I diritti umani calpestati. E noi zitti
di Pierluigi Battista
Dovremmo
protestare per la condanna all’ergastolo di sei scrittori e giornalisti
al termine di un processo-farsa in Turchia: ma non lo faremo, non ci
conviene o, meglio, non ce ne importa granché, la nostra sensibilità
sulla difesa dei diritti umani si è affievolita fino a scomparire,
inghiottita dalle regole e dalle ipocrisie e dal cinismo del realismo
politico.
I governi europei devono tenersi buono Erdogan, pagato
profumatamente per tenersi i profughi della Siria, e non saranno certo
scossi dalla drammatica denuncia di un perseguitato del regime turco,
Ahmet Altan, contenuta nel libro «Non rivedrò più il mondo» pubblicato
in Italia dalle edizioni Solferino. Decine di migliaia di dipendenti
pubblici in Turchia sono stati licenziati con la scusa di una loro
presunta partecipazione al golpe fallito del 2016. Ma tutti noi facciamo
finta che non sia successo nulla, le istituzioni europee, assenti e
rinchiuse in un’ignavia che dovrebbe far vergognare un’Europa che si
dice cementata nella difesa di valori non negoziabili, e un’opinione
pubblica oramai narcotizzata sulle violazioni della più elementare
libertà politica attuate in Paesi a noi vicinissimi. Del resto, quasi
tiriamo un sospiro di sollievo quando i tribunali egiziani, succubi
della dittatura «laica», distribuiscono pene capitali a pioggia a
esponenti dei Fratelli musulmani. Siamo anche disposti ad accantonare il
caso Regeni per mantenere buoni rapporti con il Cairo: l’Egitto non è
forse un bastione nella guerra contro il fanatismo oscurantista
islamico? E il massacratore del popolo siriano Assad, sostenuto da
Putin, non è forse il «male minore» da lasciare in pace nella guerra
contro l’Isis? E dovremmo commuoverci per la tragica sorte del popolo
curdo, raccontata su queste pagine da Lorenzo Cremonesi, che proprio
nella lotta contro lo Stato islamico è stato eroicamente in prima fila?
Nella logica ferrea del realismo politico dovremmo forse contemplare
l’ossequio a un sentimento desueto come la gratitudine?
Siamo
peggiorati. Tutti: destra e sinistra, sovranisti e democratici,
establishment e popolo, senza distinzione. Tutti uniti dall’osservanza
dell’unico principio a cui teniamo davvero: la nostra tranquillità. La
carneficina siriana, le cui conseguenze ci hanno lambito fino a farci
perdere il sonno e il controllo, ci ha reso insensibili alla strage di
diritti umani, all’incedere incontrastato di dittature feroci con cui
vogliamo intrattenere solidi e «tranquilli» rapporti di reciproca non
ingerenza. I tempi dell’«ingerenza umanitaria»? Archiviati. Le
istituzioni internazionali si avvitano nella più patetica impotenza. Le
Nazioni Unite, ostaggio di satrapi e tiranni, mettono nelle loro
commissioni per i diritti umani esponenti di regimi che dei diritti
umani fanno sistematica strage. Ci impressionano le immagini di tortura
che hanno luogo nei centri libici di reclusione dei migranti, ma l’Onu
non fa nulla perché quell’oscenità non abbia più luogo. L’Europa,
neanche a parlarne: le uniche parole pronunciate dalla responsabile
degli affari esteri europea, Federica Mogherini, sono animate dalla sua
ossessione anti-israeliana e dalla sua difesa della teocrazia iraniana,
dove le donne, esattamente come accade nell’Arabia Saudita, sono
perseguitate e condannate a una condizione coatta di soggezione e
oppressione. Apprendiamo ora che nell’Iraq liberato dagli aguzzini
dell’Isis le donne che osano trasmettere loro immagini libere su
Instagram vengono minacciate e assassinate: ma noi non sappiamo più
nemmeno farci impressionare da notizie così.
I diritti umani
calpestati non conoscono la geografia. Si ripetono identici anche in
altri contesti, come resta identica la nostra indifferenza. Dopo la
denuncia generosa di papa Francesco, siamo tornati a dimenticare la
sorte dei Rohingya, la popolazione musulmana massacrata dall’esercito di
Aung San Suu Kyi, incredibilmente insignita dal più immeritato dei
Nobel per la pace. E ancora oggi resta isolato il coraggio di Angela
Merkel che ha sfidato l’ira di Pechino stringendo la mano al Dalai Lama,
rappresentante di un popolo, come quello tibetano, ancora oppresso nel
silenzio. Del mondo. Il valore universale dei diritti umani, sempre al
centro dei discorsi ufficiali, è spartito dall’agenda dei governi e dal
cuore dell’opinione pubblica mondiale. Ancora una volta le persecuzioni
di Erdogan resteranno impunite, l’unica, tristissima, certezza.