Corriere 27.10.18
Cucchi e i depistaggi del 2015
Indagato un capitano dei carabinieri
Favoreggiamento sulle relazioni manomesse. Nistri: pochi hanno perso la strada della virtù
di Giovanni Bianconi
ROMA
La nuova inchiesta sui depistaggi per coprire il «violentissimo
pestaggio» di Stefano Cucchi svelato nove anni dopo da un carabiniere,
si allarga e conta un nuovo indagato tra gli ufficiali dell’Arma: si
tratta del capitano Tiziano Testarmata, che ha ricevuto un avviso di
garanzia per favoreggiamento legato a presunte omissioni risalenti al
novembre 2015. In quel periodo, sei anni dopo la morte di Cucchi, mentre
i poliziotti della Squadra mobile di Roma guidati da Luigi Silipo
stavano scoprendo il coinvolgimento e le responsabilità dei tre
carabinieri oggi imputati di omicidio preterintenzionale, il pubblico
ministero Giovanni Musarò aveva chiesto al Comando provinciale dell’Arma
di raccogliere e trasmettere tutti i documenti relativi alla vicenda
dell’ottobre 2009.
Per questo motivo il capitano Testarmata,
comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo, si recò nella
caserma di Tor Sapienza dove Cucchi aveva trascorso la notte successiva
all’arresto. Ad accoglierlo c’era il luogotenente Massimiliano Colombo
Labriola, comandante della stazione che oggi — indagato nel nuovo
procedimento penale — ha rivelato che le due annotazioni sullo stato di
salute del detenuto redatte all’epoca dai carabinieri Colicchio e Di
Sano erano state manomesse su ordine dei suoi superiori. È la storia
della doppia versione di quelle relazioni, rispedite via e-mail a
Colombo dal tenente colonnello Francesco Cavallo (anche lui sotto
inchiesta per falso), con il commento «meglio così», dopo essere state
corrette in alcuni passaggi sulle condizioni di Cucchi.
A
Testarmata, Colombo consegnò «le due relazioni in entrambe le versioni,
quella originaria e quella modificata» perché erano rimaste agli atti,
«l’ordine era di “dare tutto” e io non volevo nascondere nulla». Così ha
riferito il luogotenente nell’interrogatorio reso al pm. Aggiungendo un
particolare non irrilevante: «Per far capire che io avevo eseguito una
disposizione dei superiori, in questa occasione mostrai al personale del
Nucleo investigativo la mail inviatami dal tenente colonnello Cavallo,
per spiegare come mai c’erano due annotazioni diverse per un solo atto
(circostanza di cui si erano resi conto anche i colleghi del Nucleo
investigativo, i quali infatti mi avevano chiesto spiegazioni). Il
capitano del Nucleo, quando vide la mail del tenente colonnello Cavallo,
uscì fuori per parlare al telefono, poi rientrò e presero tutto, ma non
la mail». Della consegna della documentazione, ha specificato Colombo,
non fu redatto alcun verbale di acquisizione.
È un racconto che,
seppure fatto da un indagato che non ha l’obbligo di dire la verità,
apre la strada a sospetti di nuove coperture continuate anche nel 2015,
mentre era in corso la nuova inchiesta — condotta dalla polizia — sulla
morte di Cucchi. Di qui la necessità di ulteriori accertamenti da
compiere anche nei confronti del capitano Testarmata, con le garanzie
imposte dalla legge, nell’ambito di un’inchiesta che arrivata a questo
punto rischia di salire ancora di livello e mettere a dura prova
l’immagine dell’Arma.
Di sicuro il comandante generale Giovanni
Nistri aveva in mente questo pericolo, ieri, quando alla presenza dei
ministri della Difesa e dell’Interno riuniti per celebrare il
quarantennale del Gis, ha detto in tono solenne: «L’Arma deve ricordare
che è nella virtù dei 110.000 uomini che ogni giorno lavorano per i
cittadini che abbiamo tratto, traiamo e trarremo sempre la forza per
continuare a servire le istituzioni. Centodiecimila uomini che sono
molti, ma molti di più dei pochi che possono dimenticare la strada della
virtù. A quegli uomini auguro di continuare a essere quello che sono
sempre stati, e di continuare a ricordarsi che nessuno di loro lavora
per se stesso, nessuno di noi lavora per fare altro che il dovere
dell’onestà, della correttezza, del bene della nazione».
Anche la
ministra della Difesa Elisabetta Trenta è tornata sull’argomento
spiegando che «l’Arma è sempre stata ed è vicina al cittadino, e ogni
singolo carabiniere è sempre stato un punto di riferimento per i
cittadini onesti». Ma proprio per salvaguardarne l’immagine, laddove
emerga «l’eventuale negazione di questi valori, si deve agire e
accertare la verità, isolando i responsabili per ristabilire quel
sentimento di fiducia da parte dei cittadini nei confronti di
carabinieri e istituzioni». Accanto a lei, il titolare dell’Interno
Matteo Salvini sembra proporsi nel ruolo di scudo alle polemiche: «Non
ammetterò mai, finché sarò ministro, che l’eventuale errore di uno
permetta di infangare il sacrificio e l’impegno di centinaia di migliaia
di ragazzi e ragazze in divisa».