Corriere 27.10.18
il letterato e le sue idee
Giù le mani da Pound: lui è la poesia
di Claudio Magris
Pound
appartiene alla poesia, assurdo farne una bandiera neofascista. Le
manifestazioni degli estremisti di CasaPound a Trieste e a Fiume ci
riportano a distinguere tra il letterato e le sue idee.
U n anno
fa, in una libreria di Trieste, Gianni Contessi ha parlato di alcuni
volti che segnano la letteratura contemporanea come maschere di una
tragedia greca: quelli di Beckett, di Pasolini, di Pound, soffermandosi
soprattutto su quest’ultimo. Un volto di insopprimibile dignità, scavato
dal dolore e misteriosamente sereno; uno sguardo perduto in se stesso e
in chissà quali lontananze, capelli bianchi da profeta o da pastore
errante. In stridulo contrasto con la solitudine e la bontà di quel
volto, il 3 novembre prossimo è annunciata una manifestazione a Trieste
di CasaPound, la formazione politica nostalgica del fascismo più
radicale di cui sogna il ritorno. Contro l’annunciata manifestazione si
sono levate proteste da parte di tutte le forze politiche, di governo e
d’opposizione, della Diocesi e di molte comunità religiose e
associazioni culturali.
È difficile e insieme doloroso abbinare il
nome del grande poeta — e il suo volto di Edipo cieco e veggente,
perseguitato dal fato — e un’associazione che propugna un regime
totalitario al quale è intrinseca la violenza. Certo, c’è fascismo e
fascismo, ci sono fascisti e fascisti: Gentile non è Farinacci, certe
intelligenti misure prese dal regime al tempo della grande depressione
del 1929 non sono l’olio di ricino dato agli avversari politici o le
teste spaccate dagli squadristi né gli assassinii di Matteotti,
Amendola, Gobetti o don Minzoni. Il fascismo va condannato senza remore,
ma con equanimità, come ha fatto Scurati nel suo romanzo. In ogni caso
un regime liberticida mal si concilia con quell’umanità che c’è nello
sguardo e nella persona di Pound.
Certo, Pound è stato fascista. I
suoi discorsi alla radio italiana contro gli Stati Uniti, contro il suo
Paese in guerra, sono una colpevole dismisura, che è stata peraltro
punita non con quel rispetto che deve esserci pure in ogni severità, ma
con l’oltraggio e la volgarità della vendetta. A guerra finita Pound fu
rinchiuso dagli americani a Pisa in una gabbia e più tardi, negli Stati
Uniti, nel manicomio criminale di Saint Elizabeth — forse per evitargli
il processo e la probabile pesante condanna per alto tradimento — dove
trascorse tredici anni. Alfredo Rizzardi — suo grande critico e grande
traduttore dei Cantos pisani e avverso alle sue idee politiche — lo
visitò nell’ospedale psichiatrico e ricorda il suo «atteggiamento
superiore, il coraggio, la forza d’animo». Il manicomio è un carcere
privilegiato da tutte le dittature, ma evidentemente anche da democrazie
non molto democratiche.
Nel fascismo di Pound c’era probabilmente
una grande ingenuità politica. Era rimasto affascinato da alcuni
principi sociali del primo fascismo, quello sansepolcrista, ma non
vedeva il totalitarismo dispotico, i delitti, la violenza che pure gli
era invisa, la sostanza sempre più fasulla del regime, le scarpe
scalcagnate date ai soldati mandati a combattere e a morire in Grecia,
in Russia ricevendo razioni inferiori a quelle dei soldati tedeschi. Nel
fascismo aveva visto, abbagliato dai proclami e miope dinanzi alla
realtà, una lotta contro quello che per lui era il Male, l’usura. Lo
affascinavano le teorie economiche e finanziarie di C. H. Douglas e di
Silvio Gesell, il quale per pochi giorni era stato attivo nella
Rappresentanza popolare per le Finanze della Repubblica sovietica
bavarese del 1919, immediatamente soffocata nel sangue. Le teorie di
Gesell sul «denaro che svanisce» o «denaro libero» ( Schwundgeld o
Freigeld ) prevedevano, con un meccanismo complicatissimo, una
svalutazione più rapida possibile, quasi immediata del denaro, abolendo
l’interesse per impedire la sua accumulazione e dunque per cancellare le
disuguaglianze fra la ricchezza dei pochi e la povertà dei molti.
Marchingegno che può essere toccante nella sua astratta ingenuità, ma
che sarebbe catastrofico sino al ridicolo nella sua applicazione in uno
Stato. Il capitalismo sfrenato crea ingiustizie ed orrori, ma lo fa
altrettanto un anticapitalismo sprovveduto, di fatto tradito dai regimi
che se ne adornano o fingono di adornarsene, come il nazismo, in cui sia
pur del tutto superficialmente circolarono per qualche momento le idee
di Gesell.
Come dimostrano l’amicizia di Pound con vari scrittori
ebrei e la generosità dimostrata nei suoi confronti da critici e autori
ebrei, il suo antisemitismo non era razzista e si fondava su
un’ossessiva e faziosa fissazione sul ruolo che storicamente molti ebrei
avevano avuto nel sistema bancario, basato sull’interesse quale frutto
del denaro, sul denaro che produce direttamente denaro. La sua visione
di un’economia giusta e umana, in cui i beni circolano come in una
famiglia, è un’utopia generosa, ma soffermarsi su pretese e assurde
colpe degli ebrei mentre infuriava lo sterminio di milioni di essi è
imperdonabile.
La giustizia è un valore fondamentale, ma se si
dissocia dalla libertà assume il volto della tirannide, della violenza, e
i vari regimi totalitari lo hanno dimostrato. Giustizia e Libertà è il
nome del movimento più autentico, più umano dell’antifascismo e della
lotta antifascista. CasaPound proclama ideali sociali di solidarietà, di
lotta alle sperequazioni e alle disuguaglianze, come riferisce
un’eccellente inchiesta di Gianluca Modoli e Giovanni Tomasin sul
«Piccolo» del 22 ottobre, e pratica un’opera di assistenza e aiuto
sociale. Lavoro meritorio anche se legato alla propaganda, cosa che
peraltro vale per ogni partito. CasaPound afferma di richiamarsi a Alain
de Be-noist, pensatore certo di destra, attento ai problemi del Terzo
Mondo e difensore delle comunità religiose e culturali contro Marine Le
Pen, che parla — come un giacobino ai tempi del Terrore — della
Repubblica che non riconosce alcuna altra comunità al suo interno.
Il
primo fascismo, sansepolcrista, che si presentava socialmente avanzato,
ha distrutto molti di coloro che avevano creduto in esso — ad esempio
Enrico Rocca, ebreo goriziano, irredentista, grande studioso e
traduttore di letteratura tedesca, sansepolcrista della prima ora, che
si suicida nel 1944, nella furia delle leggi razziali e delle loro
applicazioni e conseguenze sanguinose. È nel sentimento
dell’universalità umana, dell’appartenenza all’umanità, che si realizza e
si invera ogni identità particolare, famigliare, patriottica, nazionale
o d’altro genere, che soltanto in questo più grande concerto trova il
suo autentico valore. Italiani si nasce, ma anche e soprattutto si
diventa, come insegnano i patrioti triestini dai cognomi tedeschi, slavi
o ebraici, gli originari africani divenuti generali o presidenti degli
Stati Uniti, Puškin, padre della grande letteratura russa moderna,
discendente di un abissino, il famoso «negro di Pietro il Grande»,
oppure Paola Egonu o Miriam Sylla, ricordate di recente sul «Corriere»
da Massimo Gramellini, rispettivamente d’origine nigeriana e ivoriana,
ma ora l’una padovana l’altra palermitana, straordinarie giocatrici di
pallavolo nella nazionale italiana che si sentono spontaneamente,
naturalmente italiane. La fissazione sulla razza è la negazione di tutto
questo; lo sapevano bene i patrioti italiani e triestini, molti dei
quali ebrei, che avevano combattuto per l’Italia e che le immonde leggi
razziali hanno voluto espellere dalla patria.
CasaPound annuncia
pure una manifestazione a Fiume, proprio nel momento in cui il governo
croato si dimostra più sensibile e aperto a riconoscere e a sottolineare
la tradizione italiana della città. Per quel che riguarda d’Annunzio,
altro grande della letteratura moderna, spero ci si ricordi che durante
la Reggenza del Carnaro d’Annunzio ha aperto scuole italiane, croate e
ungheresi, all’opposto del fascismo barbaramente repressivo delle
nazionalità e in particolare di quelle slave, e ha elaborato uno statuto
particolarmente avanzato dei lavoratori. Il vice di d’Annunzio a Fiume,
Ercole Miani, volontario e decorato nella Grande guerra, anni dopo
sarebbe divenuto un eroico comandante della Resistenza nella Venezia
Giulia, ferocemente torturato senza lasciarsi sfuggire una parola dalla
banda nazifascista Collotti.
Non ameremo Pound di meno per il suo
tragico abbaglio e la sua grandezza poetica non ci farà prendere sul
serio le sue teorie. È un grande del Novecento, un protagonista di
quella rivoluzione dell’arte e della letteratura moderna che ha
sconvolto e ricreato le forme espressive, l’immaginario, il volto del
mondo e della storia, il linguaggio. Quest’avanguardia culturale ed
espressiva, protagonista del secolo, si era incontrata pure col
fascismo, come dimostrano alcuni notevoli artisti, specialmente
futuristi, che ne erano stati affascinati e che, divenuti icone di
regime, accademici in feluca, non sono stati più veri artisti creativi.
Pound non si è messo la feluca; è rimasto un profeta inascoltato e
fuorviato, uno sperduto pioniere del West che egli amava.
I suoi
Cantos , scritti nell’arco di settant’anni, sono un’opera grandiosa e
impervia che vuole abbracciare la totalità della storia, della vita e
delle culture più diverse, dai Greci all’Italia dei Comuni ai provenzali
e alla Cina, civiltà di cui egli tanto si è nutrito e che attraversa i
Cantos , talora ardui e inaccessibili per la diretta citazione di
ideogrammi cinesi. È difficile dire se si tratta di un poema unitario o
di un balenare inafferrabile di frammenti, come altre grandi opere del
Novecento. Nella creazione poetica, specie in quella che rompe i limiti,
è difficile distinguere l’indicibile dal naufragio.
Non è bene
chiedere ai poeti indicazioni politiche. Alcuni dei più grandi scrittori
del Novecento sono stati fascisti, nazisti, stalinisti: Pirandello,
Céline, Hamsun, i poeti francesi che si recavano devotamente a Mosca ad
assistere consenzienti alla «Messa rossa» ossia alle impiccagioni
staliniane di molti loro compagni. Continuiamo ad amare Hamsun — come lo
amava Singer, nonostante la sua celebrazione di Hitler — e Céline
nonostante le sue imperdonabili Bagatelle per un massacro , ma non
chiederemo loro come votare.
Continuiamo ad amarli, perché le loro
pagine ci mostrano un volto e un senso della vita che essi stessi non
hanno voluto o saputo comprendere lucidamente. Le loro affermazioni o
esternazioni ideologiche sono spesso in contrasto con un loro forte e
generoso sentimento della vita e dell’uomo, sentimento che nutre la loro
arte e viene negato dalla loro rozza, infelice e barbara ideologia.
Grazie ad essi, abbiamo compreso e fatto nostre delle verità che essi
non sono stati capaci di cogliere dalle loro opere. Si sono identificati
con il male, forse perché hanno dolorosamente creduto che la storia
fosse inevitabilmente un cancro e che il male fosse la tragica verità
della vita. C’è, nelle loro aberrazioni, un autolesionista e ostentato
disprezzo dei valori universali umani, che essi sono stati incapaci di
distinguere dalla retorica che certo spesso li avvolge. Quei grandi che
si sono volutamente accecati come Edipo ci aiutano spesso, senza
volerlo, a scoprire la giusta strada, che va in direzione opposta a
quella presa da loro. Non è bene, in nessun caso, affibbiare loro un
distintivo o una tessera. Giù le mani dai poeti.