sabato 27 ottobre 2018

Corriere 27.10.18
Quell’intellighenzia
che non ha nulla da dire
di Antonio Macaluso


C’è uno spettacolo ancora più triste di quello che vede il suicidio auto-assistito dai dirigenti del Pd ed è quello di quel vasto mondo di intellettuali, artisti e fiancheggiatori da salotto che vagano da mesi come cortigiani spaventati. I più furbi si sono riciclati per tempo, hanno coniato parole d’ordine appetitose per il popolo sanculotto e si accingono alla raccolta del nuovo seminato. Altri guardano inebetiti lo scorrere di un film – un horror ai loro occhi pigri – e altri ancora passano il tempo a prendersela con quei capi del Partito – una volta lisciati e adulati – che li hanno lasciati alla mercé di un futuro senza sicurezze.
Attenzione, sarebbe sbagliato pensare a quei «nani e ballerine» ai quali – con spregio – faceva riferimento negli anni 80 Rino Formica, indimenticato ministro delle Finanze, potente dirigente del Psi craxiano e, con il senno del poi, gigante del pensiero politico contemporaneo. Il circo degli adulatori è una costante ultra-millenaria della storia di monarchie, dittature, repubbliche. Corti e governi sempre si sono circondati, consapevolmente o per necessità, di cerchie ristrette o straripanti di adulatori, consiglieri, presunti saggi e infide spie, belle donne, animatori di salotti, ma anche comparse a ruolo variabile. Così è stato, così è, così continuerà ad essere. C’è poco da scandalizzarsi. Se non si vuole essere inutilmente ipocriti, bisogna accettare che il veloce assemblarsi di cerchi più o meno magici nelle stanze attigue al Potere ne sia una sorta di riflesso condizionato.
Non tutti i membri di questi temporary club hanno però le stesse inclinazioni, pretese, influenze. Ed è proprio qui che la differenza tra il gruppo dei «nani e ballerine» – per sua natura affamato ma di bocca buona – e quello della casta intellettuale e salottiera si fa sostanziale. Posto che gli endorsement dei primi hanno scoperte finalità «di scambio» – avere dal Potente qualcosa di immediato, dandogli ciò per cui si viene chiamati o accettati nella sua cerchia: soldi, sesso, popolarità, compagnia – con i secondi i rapporti sono più complessi e delicati. L’intellettuale o il gran borghese che mette a disposizione il suo salotto hanno la capacità di accreditarsi come centri nevralgici di un sistema complesso di relazioni. Nella loro testa, il politico di successo del momento deve avere la percezione di riuscire – finalmente – ad essere ammesso in un circolo di idee e interessi dai tratti esclusivi. Essere fiancheggiati, spalleggiati, accuditi dai protagonisti della Cultura e dei caminetti mondani deve sembrare al neoarrivato politico un vero e proprio traguardo. Una ragnatela sottile che cattura prede per bearsi della propria capacità attrattiva, mostrarla e saldarla a un sistema omogeneo di idee e convenienze. Se, nella convinzione di Alberto Moravia, l’intellettuale doveva essere come il bambino della favola, che rivela al re la sua nudità, nella realtà annovera una vecchia tradizione di servilismo. Alle prese con un Paese ad alto tasso di analfabetismo, l’intellighenzia italiana, osservava Indro Montanelli, ha finito per lavorare per il protettore in mancanza di una vera e propria classe di lettori. Il che non vuol dire che scrittori, giornalisti, registi, filosofi, storici e così via non abbiano di fatto costituito quella sorta di cinghia di trasmissione dal Potere verso il Popolo. Mai viceversa. Perché – è un comico come Pippo Franco a dare voce a una verità storica – «l’intellettuale italiano è sempre stato all’opposizione di ogni regime. Precedente».
I danni che questi intellettuali hanno prodotto sono per certi versi incalcolabili. Hanno sussurrato e suggerito – molto spesso condizionato – idee e scelte dei politici di successo, finendo talvolta – ma sempre più spesso – per allontanarli dalla realtà del Paese. Uno scollamento che ha prosciugato la vena popolare dei partiti di massa in una sorta di ritirata in ridotte sempre più lontane e difficili da difendere. Alla fine, come in una rivoluzione d’altri tempi, il fortino ha ceduto e il popolo inferocito ha dato il comando ai generali dell’oltranzismo.
Ridotti a una sostanziale irrilevanza, i protagonisti della politica del passato si sono ritrovati soli. E proprio nel momento in cui – ora sì – l’intellettuale potrebbe plasmare nuove parole d’ordine, indicare orizzonti, mettere tutto il suo sapere al servizio della politica, ecco che sparisce, si mimetizza, tace. Aspetta forse che sia, ancora una volta, qualcun altro – i giovani? Gli studenti? Le masse deluse delle periferie? La borghesia in scivolata verso il basso? – a trovare «il sol dell’avvenire». Nessuna comprensione per chi ha solo preso e non ha dato, per chi ha allontanato dalla sinistra, dal moderatismo cattolico, dalla destra liberale la parte migliore di uomini e donne. Nessuna comprensione per chi oggi vede Salvini e Di Maio come i nuovi barbari ma ha avuto meno coraggio delle oche del Campidoglio nello svegliare chi evidentemente dormiva sugli allori di un tempo. Un bagno gelido di solitudine per chi ha usato uomini e idee e un monito alla classe politica perché lavori, studi e pensi in proprio, senza delegare ad amici e consiglieri che hanno più gambe che cuore. L’affermarsi di una classe politica che si fa vanto della sua ignoranza e approssimazione ribalta la situazione precedente, ma non è meno pericoloso. Anche perché, come recita un antico proverbio, l’ignoranza è madre dell’arroganza. Come, purtroppo, è già possibile constatare.