Corriere 19.10.18
La politica, i diritti e il dominio della tecnica
Lo scopo del capitalismo è diverso da quello della tecnica, che è l’aumento della potenza
L’America e la Russia convergono nell’intento di mantenere l’Europa in posizione subordinata
di Emanuele Severino
Un
libro di alto livello culturale sulla presente situazione del mondo,
analizzata a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma
scritto da un autore che può anche vantare, rispecchiandole nelle sue
pagine, ampie esperienze manageriali e politiche, come ad esempio
rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, ministro
dello Sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni, e così via. Sto
parlando di Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio
(Feltrinelli, 2018), di Carlo Calenda; il suo primo libro. Mette in luce
i problemi che i popoli hanno oggi di fronte, ne propone soluzioni
anche audaci, facendosi guidare dai principî della «democrazia
liberale». Per l’Italia giunge a formulare un programma di governo di
rilevante portata. In ogni caso, una felice sintesi tra visione
d’insieme e percezione del «particulare».
Al centro del saggio, la
tesi che la «globalizzazione», quale si è sviluppata negli ultimi
trent’anni, ha favorito l’economia dei Paesi asiatici e soprattutto
della Cina, ma ha fatto perdere all’Occidente (Stati Uniti e Europa, che
della «globalizzazione» erano pur stati i promotori) la primazia
culminata nel crollo dell’Unione Sovietica. Calenda ritiene che «per
riportare nelle mani dell’Occidente il timone della globalizzazione» si
debba «costruire una solida rete tra paesi democratici allo stesso
stadio di sviluppo», dove il rapporto tra Usa e Europa è «prioritario»
(p. 150). Questa tesi non sostiene che la rivincita dell’Occidente sia
«inevitabile»: la competizione tra potenze «vecchie» (Occidente) e
«nuove» (Paesi asiatici emergenti) può infatti portare o a uno
«scontro», oppure a un «aggiustamento» dei loro rapporti (p. 152). Un
«aggiustamento» molto difficile, osservo, perché sarebbe un togliere
dalle mani delle «nuove» potenze «il timone della globalizzazione».
Riprenderlo in mano significa per Calenda rimettere lo Stato alla guida
dell’economia e della tecnica, dopo il tempo della sottomissione ad esse
da parte della politica.
Gli effetti negativi (specie per
l’Occidente) della «prima fase della globalizzazione» sono dovuti per
Calenda anche all’innovazione tecnologica. Egli considera quanto sono
andato scrivendo sulla «destinazione» della tecnica al dominio e mette
in risalto come per me tale «destinazione» sia una «tendenza» che non
predetermina il futuro. Se lo predeterminasse, sarebbe infatti
irrealizzabile il progetto di rovesciare questa tendenza, rimettendo la
politica e lo Stato alla guida dell’economia e della tecnica.
Sennonché
la tecnica che è corresponsabile degli effetti negativi della
globalizzazione è la tecnica gestita dal capitalismo, cioè intesa come
mezzo per l’incremento del profitto privato. E che lo Stato e la
politica possano porsi o riporsi alla guida dell’economia e della
tecnica è una possibilità che riguarda i prossimi decenni, ossia il
tempo che sta tra il presente e il tempo in cui la tecnica è «destinata»
a liberarsi dalla sua soggezione all’economia capitalistica o ad altra
forma ideologica come quella cinese, avendo quindi la possibilità di
realizzare il più alto livello di benessere raggiunto dall’umanità.
La
«destinazione» di cui parlo è sì una «tendenza», ma nel senso che per
la cultura oggi dominante non esiste alcuna verità necessaria e
incontestabile e quindi non può esistere nemmeno una connessione
necessaria tra il presente e il futuro – sì che è una «tendenza» che
domani sorga il sole o che un corpo lasciato a sé stesso cada verso il
basso. E nei miei scritti l’affermazione che la tecnica è «destinata» al
dominio non è un dogma ma è argomentata, ed è questo argomentare che va
confutato se si crede che anche nei tempi lunghi lo Stato possa tornare
alla guida della tecnica e dell’ economia. Considerazioni, queste, in
cui si sottintende che tra capitalismo e tecnica ci sia differenza,
spesso ignorata, giacché lo scopo del capitalismo (aumento del capitale)
non è quello della tecnica (aumento della potenza, cioè della capacità
di realizzare scopi).
Le pagine di Calenda sui contrasti tra
Occidente e Paesi asiatici, tra Occidente e Russia e tra Occidente e
Islam sono estremamente istruttive. Ma se la tecnica è destinata al
dominio, nel senso indicato, allora tali contrasti, sebbene non meno
temibili, sono di retroguardia rispetto al contrasto che vede tutte le
forze contrastanti schierate dalla stessa parte contro la tecnica, in
prospettiva vincente.
Dei progetti che si trovano al centro del
saggio vorrei infine menzionare quello umanistico-democratico di non
sacrificare i diritti dell’uomo alla tecnica (e all’ economia) e quello
di arginare il tentativo della Russia di dissolvere il peso dell’Unione
Europea. Quanto al primo chiederei a Calenda: non dobbiamo forse tener
presente che al fondo di ogni modo (anche del più «umanistico») in cui
la cultura dominante intende l’uomo, l’uomo è concepito come forza
cosciente di organizzare mezzi in vista della produzione di scopi, e
cioè come essere tecnico, visto che la tecnica è la forma più matura di
questa organizzazione? Sì che la tecnica non è devastazione ma
inveramento del modo in cui la cultura dominante intende da ultimo
l’esser uomo?
Quanto al secondo progetto, relativo al rapporto tra
Russia e Europa, sin dall’inizio il tentativo di unificare l’Europa
dando vita a un terzo polo è stato ed è una minaccia per l’equilibrio
stabilitosi tra le due superpotenze nucleari, Usa e Russia, che oggi si
pongono alla testa di due mondi tra loro conflittuali. Lo scrivevo ancor
prima della fine dell’Unione Sovietica. Nessuna meraviglia che
l’attuale governo americano e russo convergano nell’intento di mantenere
l’Europa in posizione subordinata.
Ma se la tecnica è destinata
al dominio, queste forme di tensione non sono forse anch’esse contrasti
di retroguardia rispetto all’inevitabilità che le Superpotenze e gli
Stati divengano a loro volta mezzi per realizzare lo scopo della
tecnica, la crescita indefinita della potenza? Fermo restando il mio
completo accordo con Calenda sulla estrema complessità è imprevedibilità
di tutti i contrasti di quel tipo.