Corriere 18.10.18
La controreplica Lo studioso ribatte: chi legge deve poter distinguere realtà e finzione
Ma la licenza creativa non autorizza a tradire la verità della storia
Galli della Loggia: dopo Croce saccente, Stalin pacifista?
di Ernesto Galli della Loggia
Apprezzo
la sincerità con cui Antonio Scurati riconosce gli errori (non tutti)
contenuti nel suo libro. Non mi convince però — ed è forse la vera
questione di fondo — quanto egli dice sulla differenza tra lo sguardo
dello storico e quello del romanziere. Non mi convince proprio
considerando le sue righe su Benedetto Croce.
Contrariamente
infatti a ciò che Scurati sembra credere per giustificare il suo uso del
termine «professore», almeno fino al 1924 Benedetto Croce non fu per
nulla specialmente inviso ai fascisti. I quali quindi non avevano alcuna
ragione particolare per disprezzarlo o bollarlo con una qualifica da
alcuni di essi ritenuta spregiativa. Da alcuni di essi, ho scritto,
perché in realtà, anche se a noi oggi piace dimenticarlo, i ranghi
fascisti, specie quelli di provenienza nazionalista, erano pieni zeppi
d’intellettuali e di professori autentici: Giovanni Gentile, Alfredo
Rocco, Maffeo Pantaleoni, Gioacchino Volpe, Alberto De Stefani, per dire
quelli che mi vengono subito alla mente, non erano proprio gli ultimi
arrivati. E di certo, se si fossero sentiti dare del professore in tono
burlesco non l’avrebbero fatta passare liscia a nessuno. Dunque non si
capisce proprio che c’entri in questo caso il presunto punto di vista
fascista espresso dalla creatività del romanziere.
(Sorvolo
peraltro sul fatto che le sole due volte in cui nel libro di Scurati
Croce è citato come professore dal contesto non si evince affatto che
l’attribuzione del titolo sia riferibile ai fascisti o a Mussolini: una
volta, ad esempio, a rivolgersi a lui chiamandolo professore è
addirittura Luigi Russo).
Mi rendo ben conto, ripeto, che storia e
letteratura sono due ambiti diversi, con esigenze e prospettive di un
ordine altrettanto diverso: la seconda, la letteratura, potendo contare
fra molte altre cose sulla grande risorsa rappresentata dalla «forza
sintetica della narrazione». Ed è indubbio — anche se per limitarmi alla
storiografia italiana del Novecento, una tale forza non fa difetto pure
in molte pagine di Croce stesso o di Volpe o di Angelo Tasca, a
proposito della nascita del fascismo — è indubbio, dicevo, che
difficilmente uno storico potrà dipingere Kutuzov e la strategia di
logoramento messa in campo dai russi contro Napoleone meglio di quanto
ha fatto Lev Tolstoj, o descrivere le giornate parigine del 1848 con più
verità di quanto si legga nell’Educazione sentimentale di Gustave
Flaubert.
Ma può tutto questo autorizzare il romanziere a
contraffare, fino a caricaturizzarli, i tratti di importanti
protagonisti storici realmente esistiti, senza peraltro che il lettore
abbia modo di capire che quanto sta leggendo è qualcosa che poco o nulla
ha a che fare con la realtà? Perché questo è il punto! Capisco ad
esempio, anche se ne ignoro i motivi, che Benedetto Croce (sempre lui!)
stia particolarmente sulle scatole a Scurati. Ma dipingerlo come
«saccente», come uno che posava a «uomo di mondo che ne ha viste di ogni
colore» o come un «maestro di cinismo eterno», mi pare un tradimento
odioso della verità che neppure a un romanziere dovrebbe essere
permesso. Se no al prossimo romanzo storico potremmo tranquillamente
aspettarci, in nome dello specifico letterario, che so, uno Starace
protettore delle arti o uno Stalin pacifista. Almeno questo non
sembrerebbe anche a lei un po’ troppo, caro Scurati?