giovedì 18 ottobre 2018

Repubblica 18.10.18
Letteratura in podcast
Il Duce smascherato da Paolini e Scurati
di Marco Belpoliti


Benito Mussolini, scrive Antonio Scurati a un certo punto del suo romanzo M. Il figlio del secolo (Bompiani), «è stato il primo ad aver capito di poter sfruttare il rancore per la lotta politica, il primo a essersi messo alla testa di un esercito d’insoddisfatti, declassati e falliti». Certo, prima di lui c’erano state quelle che il filosofo tedesco Peter Sloterdijk chiama le banche del rancore e dell’odio, la Chiesa cattolica e i partiti socialisti e comunisti; queste banche il rancore l’amministravano e lo indirizzavano verso il Paradiso o il Sol dell’avvenir. Con Mussolini il rancore diventa il principale motore della lotta politica; ha un immediato sfogo nella realtà e nulla è più rinviato al futuro. Un tema assai attuale: subito! Ed è anche per questo che la nuova iniziativa di Repubblica, da oggi sul sito — un grande personaggio del teatro impegnato italiano, Marco Paolini, che legge in podcast, e in dieci puntate settimanali, estratti del libro di Scurati — acquista un significato ancora più profondo.
Nel primo volume dei tre annunciati sul tema, lo scrittore racconta la nascita del fascismo, la sua ascesa, la conquista del potere, dal 1919 al 1924, dal dopoguerra all’assassinio Matteotti. Ma non c’è solo Mussolini ad attirare oggi l’attenzione, anche la figura di Hitler sembra tornare d’attualità, o almeno il periodo che va sotto il nome di Repubblica di Weimar, in cui incuba ed esplode il nazismo e il piccolo caporale austriaco prende inaspettatamente il potere in uno dei paesi più moderni, complessi e culturalmente avanzati del mondo. Com’è possibile che sia accaduto? E poi, ci si domanda, accadrà di nuovo? L’attenzione verso il libro di Scurati nasce da qui, oltre che dalla capacità che dimostra di saper tradurre in narrazione la storia del Duce.
Un libro scritto in modo sincopato, teso, epico, una cavalcata al trotto che in 838 pagine porta dai Fasci di combattimento di piazzale San Sepolcro al discorso parlamentare in cui nasce la dittatura mussoliniana.
L’appassionata lettura di Marco Paolini delle pagine del libro, in esclusiva per il sito di Repubblica, restituisce questo ritmo. La prosa scandita, al limite del paratattico, di Scurati tende a eliminare i giudizi storici generali per narrarne la polpa dei fatti minimi. In un passaggio in cui si parla della visione d’insieme di Giolitti, che non distingue le minuzie e perde di vista i dettagli, l’autore di questa monumentale romanzografia spiega in cosa consiste il proprio racconto: attenzione spasmodica ai dettagli.
La narrativa si distingue dalla storia, proprio per questo. Non solo perché narra — lo fa anche la storia ovviamente — ma perché pone attenzione ai dettagli, li accentua e li esalta.
Il clima politico in cui stiamo vivendo oggi in Europa porta l’attenzione degli scrittori su questioni epocali che sembravano obliate. Ritornano i grandi personaggi, quelli che sembrano fare la storia con la loro sola presenza. Mussolini è uno di questi. Lui e il suo imitatore tedesco, Adolf Hitler, sono gli uomini nuovi che spazzano via le élite tradizionali, facendo saltare i rapporti di forza delle vecchie classi dirigenti, in Italia come in Germania. Gli adepti, leader piccoli e grandi di questi movimenti, sono degli apprendisti stregoni che vengono dal nulla, una classe politica inventata dalle mosse spregiudicate e ciniche dei due capi. La giovinezza del fascismo è quella degli ex combattenti della Prima guerra mondiale, una classe di genialoidi, playboy piccolo-borghesi, irregolari, nottambuli, pregiudicati, incendiari, disperati, sfaticati, nullatenenti. Sono loro i barbari che seguono un leader che non possiede alcun credo politico certo, che lotta solo per la propria affermazione, per il potere: un dilettante di genio.
Il libro di Scurati è uscito in un momento in cui alcuni tratti del passato sembrano riproporsi nella crisi delle democrazie europee, e l’antifascismo tradizionale, collante della Repubblica, appare in crisi. Ricordare il passato, riavvolgere il nastro delle vicende e di nuovo svolgerlo davanti ai lettori, diventa un compito importante. E, nel caso della lettura in podcast di Marco Paolini, anche piacevole: un bel mix tra letteratura, teatro e digitale. Bisogna però ricordare che non bastano i grandi leader a fare la storia; sono i contesti generali a rendere possibili le ascese di uomini umanamente modesti, di uomini vuoti come questi.
Scurati con un felice anacronismo attribuisce a Mussolini l’invenzione dell’individualismo, non una sua tendenza personale, ma lo stigma del nuovo secolo, il Novecento («l’individualismo è la modernità»). Si tratta di una retrodatazione di un fenomeno che è venuto dopo, con l’avvento dell’americanismo nel secondo dopoguerra. Senza dubbio il Duce, come Hitler, era uno spasmodico narcisista, tuttavia era un’eccezione in un mondo in cui narcisisti erano gli artisti, non certo le masse. Il narcisismo di M è quello che nasce dall’assenza di personalità per assumerne una più forte e piena che scaturiva dal riconoscimento delle masse.
Mussolini usava il corpo, il Führer la voce. Era l’identità prodotta dalla folla. Un passato-futuro su cui riflettere.