martedì 16 ottobre 2018

Corriere 16.10.18
Le sedie vuote dei due alleati per nascondere i contrasti
di Massimo Franco


Intanto c’è il contratto. E dove non arriva il contratto, subentra la politica della «sedia vuota»: l’assenza di uno dei vicepremier, Luigi Di Maio o Matteo Salvini, per marcare il disappunto per un provvedimento o un altro che risultano sgraditi. Una sedia vuota per il reddito di cittadinanza grillino, un’altra per la «pace fiscale» leghista; ma solo per qualche ora. Il trucco salva l’anima ai contraenti, oltre che salvare il governo, velando le contraddizioni. Con questo doppio registro, Movimento Cinque Stelle e Lega sono pronti a marciare uniti e divisi fino alle Europee; a fare il pieno di potere, di voti virtuali dei sondaggi e alla fine, chissà, di voti veri.
Fino a maggio, insomma, la maggioranza sembra sicura di reggere. Il giorno dopo, invece, dopo avere misurato le rispettive consistenze elettorali, Di Maio e Salvini decideranno se deve rimanere Giuseppe Conte a Palazzo Chigi; oppure se esistono nuovi equilibri che richiedono un’altra fase, e magari elezioni politiche. La primavera, tuttavia, è lontana. Non si riesce a capire quale strana manovra economica sarà consegnata all’Europa: «Non ci sentiamo vincolati dalle norme sul deficit pubblico decretate da Bruxelles», ribadisce Salvini. Su questo sfondo nessuno scommette che nell’esecutivo non cresca la tentazione di uno strappo per andare al voto, se tutto precipita.
In teoria, le elezioni non convengono a nessuno. Nel patto con i Cinque Stelle, Salvini ha quasi raddoppiato i consensi del 4 marzo: almeno quelli virtuali. E può sventolarli per accumulare potere senza bisogno di verificare le vere percentuali con l’azzardo delle urne. Per lui significherebbe rifare i conti con una Forza Italia che sta svuotando, e con Fratelli d’Italia che sono già un satellite leghista. Quanto a Di Maio, fino a che il Movimento non perde troppi consensi a vantaggio della Lega, la convivenza può proseguire.
La fronda «di sinistra» del presidente grillino della Camera, Roberto Fico, è considerata innocua. Al vicepremier del Movimento basta continuare un gioco delle parti che prevede punzecchiature alla Lega quando «strizza l’occhio ai grandi evasori», come dice Di Maio; e a Salvini, basta attaccare il reddito di cittadinanza, perché «il lavoro non si crea per decreto». Sono contrasti potenzialmente inconciliabili, ma ritenuti componibili nel contratto: almeno per ora. Il premier Conte rappresenta una garanzia di non ingerenza che permette ai vicepremier di regolare i conti senza preoccupazioni.
E la «spina» del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ormai è stata spezzata. Non si parla più di sostituirlo. La possibilità che gli subentri il ministro agli Affari europei, Paolo Savona, è diventata ancora più remota dopo le rivelazioni del Corriere sul suo ruolo nel fondo di investimento inglese Euklid. Ma soprattutto, Di Maio e Salvini sanno che almeno a breve termine potranno marciare nel deserto di opposizioni in disarmo, a destra e a sinistra. È una situazione ideale per governare senza nemici veri; oppure per trovare un pretesto e tornare alle urne in qualsiasi momento, sicuri di godere di una posizione di rendita.