Corriere 12.10.18
L’intervista Walter Veltroni
«Alle Europee una lista aperta con il meglio della società non divisa tra le correnti pd»
L’ex segretario: «Ecologia e lotta alla precarietà per battere la destra»
di Aldo Cazzullo
Veltroni,
lei 5 anni fa disse al «Corriere» che la crisi della democrazia avrebbe
fatto emergere leadership inimmaginabili. Trump, Bolsonaro e nel loro
piccolo Salvini e Di Maio le hanno dato grandi soddisfazioni .
«Non
dimentichi Erdogan, che nell’impressionante silenzio del mondo sostiene
che i media sono incompatibili con la democrazia. Ma non c’è proprio
nessuna ragione di essere soddisfatti. L’alluvione sulla democrazia era
prevedibile. Stavano accadendo una serie di cose analoghe a quelle di un
altro tempo storico».
Si riferisce agli anni 30?
«Sì. La
più grande e lunga recessione della storia. Crisi dei partiti, della
politica, delle istituzioni. La più invasiva rivoluzione scientifica e
tecnologica: qualcosa al cui confronto la macchina a vapore è uno
scherzo».
Addirittura?
«I computer hanno cambiato le classi
sociali, le forme di conoscenza, le relazioni tra le persone. Hanno
cambiato il tempo della vita, velocizzando tutti i processi; e la
lentezza della democrazia appare un ostacolo. Vuole la cultura
democratica capire che è in gioco la più grande conquista di pace e di
prosperità succeduta alla Seconda guerra mondiale, l’Europa? E che la
parola Europa oggi distingue i democratici dai nazionalisti
sovranisti?».
L’Europa oggi è considerata un fattore di crisi, non di prosperità.
«A un certo punto del decollo dell’aereo Europa, sono saliti a bordo quelli che hanno cominciato ad aprire i finestrini».
A chi si riferisce?
«Il
gruppo di Visegrád ha rallentato tutte le decisioni. E l’egoismo di
certi Stati ha fatto il resto. Ma cosa sarebbe della nostra economia se
non ci fosse la Bce? Se non ci fosse l’euro? Ora è in corso un
gigantesco processo di disarticolazione dell’Europa. L’esito dell’89 non
è la fine della storia, il trionfo della libertà; è una
riorganizzazione geopolitica al cui interno l’Europa come continente e
mercato unico non è contemplata».
Nel maggio prossimo l’Europa vota. Come deve presentarsi la sinistra?
«La
prima cosa che la sinistra deve mettere in campo è la parola Europa.
Una parola che le nuove generazioni considerano naturale. Chi ha
vent’anni non sa cosa siano la lira o le frontiere. Altiero Spinelli si è
inventato la costruzione dell’Europa guardando dalla sua finestra di
Ventotene — dove l’aveva rinchiuso il fascismo — un continente in
fiamme. Nulla di più utopico. Ci abbiamo messo tanto, siamo passati
attraverso il Muro, Jan Palach, Franco, il terrorismo; ma ce l’abbiamo
fatta. Se a maggio dovesse prevalere un fronte sovranista e
nazionalista, l’Europa finirà. Finirà l’euro. Dazi e muri, Europa divisa
e fastidio per ogni diversità. Le ricorda qualcosa?».
Non sarà anche colpa vostra?
«Ci sono parole che la sinistra ha scordato. Parole europee come formazione, ambiente, sicurezza sociale».
Sembrano slogan da convegno.
«No.
Sono i cardini del futuro. Devono diventare la nostra ossessione. I
nuovi lavori richiederanno un altissimo livello di formazione. Uno Stato
che investe su formazione, scuola, ricerca, produrrà forza lavoro; uno
Stato che non investe produrrà povertà».
E l’ambiente?
«Sono
impressionato dalla scomparsa dell’ecologia dal dibattuto politico
italiano. Cosa c’è di più contrastante con l’assurdità del sovranismo
nazionalista che non l’ecologia? Si guardi attorno: 12 morti a Maiorca,
in Sardegna crollano i ponti, migliaia di migranti sono mossi dalla
desertificazione, uragani nel Mediterraneo. Ha visto la foto dell’orso
isolato sul triangolo di ghiaccio? È la nostra immagine, la nostra
metafora. Noi, a differenza dell’orso, dovremmo capirlo che ci si sta
sciogliendo il mondo intorno. Ma il tema viene rimosso o contrastato. Ci
sono città che andranno sott’acqua, e noi facciamo dei tweet».
La gente non pensa allo scioglimento dei ghiacci, pensa al lavoro che non trova, al conto in rosso, ai servizi che mancano.
«Pensi
quanto lavoro vero darebbe la riconversione ecologica dell’economia. Il
lavoro è di nuovo il dramma del nostro tempo. Dalla crisi del ’29 si
uscì con il New Deal. E oggi? Non basta erogare fondi, bisogna
contrastare la principale minaccia alla qualità della vita: la
precarietà. Vuole la sinistra aggredire questo tema? Capire che bisogna
creare nuove condizioni di sicurezza sociale? La manifestazione del Pd
si intitolava “l’Italia che non ha paura”. Bene, l’Italia che non ha
paura deve parlare all’Italia che ha paura. Non penso ai timori
suscitati dalle campagne organizzate scientificamente per la diffusione
della paura. Sto parlando della paura che c’è in ogni casa: perdere il
lavoro, non trovarlo, girare in città dove ci sono più saracinesche
chiuse che aperte. Formazione, ambiente, sicurezza sociale: ecco le cose
con cui la sinistra potrebbe andare in controtendenza, senza avere
paura di essere se stessa. E rilanciando l’idea di una democrazia che
decida, veloce, trasparente».
Le riforme istituzionali sono state bocciate dal 60% degli italiani.
«Non
è stato bocciato il tentativo di riformare le istituzioni, ma il modo
in cui lo si è presentato. Gli italiani non sarebbero contrari a una
riforma per cui si danno tempi certi per approvare o respingere una
legge, si riduce il numero dei parlamentari, si fanno vivere organismi
diffusi di partecipazione. Nelle scuole. Nelle fabbriche. E nei consigli
d’amministrazione, dove i lavoratori dovrebbero essere rappresentati».
Da Cacciari a Calenda, si è parlato di presentare alle Europee un fronte che vada da Macron alla sinistra.
«Se
è una lista europeista aperta, guidata da personalità indipendenti e
autonome, che raccolga insieme con il Pd tante energie della società, la
mia risposta è sì. I capilista non devono essere divisi tra le correnti
del Pd, ma scelti nel meglio della società italiana. A Strasburgo
andavano Bruno Trentin, Giorgio Napolitano, Elena Paciotti, Giorgio
Ruffolo, e qualche anno prima Alberto Moravia e Altiero Spinelli.
Apriamo porte e finestre; la gente verrà. La domanda di politica e di
sinistra c’è. È l’offerta che manca».
Ci spieghi meglio che tipo di lista ha in mente.
«Una
lista che assomigli a come immaginavo il Partito democratico: un luogo
cui persone, associazioni, movimenti, gruppi potevano aderire, restando
se stessi. Le primarie dovevano servire a sintetizzare tutto questo. Poi
il Pd è stato prosciugato e occupato dalle correnti; e il meccanismo
delle primarie ne ha sofferto».
Lei sosterrà Zingaretti o Minniti?
«Sono
anni che non sostengo un candidato. Sostengo un’idea di movimento
democratico in Italia, vitale oggi. E credo che questo debba avvenire
con una radicale discontinuità e una sincera e inedita unità che persone
come Zingaretti, Minniti e Richetti possono insieme garantire. Quando
sento dire più volte l’espressione “me ne frego” o “chi si ferma è
perduto”, e non nell’accezione dantesca ma in quella ducesca, ripeto a
me stesso che le parole contano, che dietro le parole ci sono i fatti. A
Lodi i bambini immigrati mangiano in una stanza diversa da quella degli
altri bambini. Sono cose enormi. Se non daremo una risposta
all’altezza, domani ci sembrerà normale quello che oggi non lo è. I
precipizi della storia sono cominciati scendendo gradini, non cadendo in
un vulcano. E un giorno i libri di storia scriveranno che, di fronte a
tutto questo, a sinistra la parola più pronunciata era “candidatura”».
Cos’è oggi la sinistra?
«Anni
fa si discusse perché in un congresso avevo fatto scrivere il motto di
don Milani, “I care”: il contrario di “me ne frego”. Ecco la differenza
tra sinistra e destra. Oggi la sinistra ha perduto questa intensità,
questa capacità di condividere il dolore degli altri. La sinistra
dovrebbe essere terra e cielo. Terra: stare nel territorio, nei
quartieri, nelle fabbriche, nelle università; condividere e farsi carico
del dolore sociale. Cielo: i valori, le grandi idee, i pensieri lunghi,
le cose per le quali ciascuno di noi ha deciso di impegnarsi nella vita
pubblica. Ma invece di stare in terra e in cielo, la sinistra è
evaporata in una grande nube, dove è infuriata la zuffa autoreferenziale
tra chi vorrebbe fare il Macron e chi vorrebbe fare il Corbyn».
I 5 Stelle si divideranno?
«I
dirigenti non credo. Ma nel loro elettorato c’è malessere. Elettori di
sinistra che li hanno votati li ritrovano in un governo il cui capo è
Salvini, che sta tradendo tutte le loro promesse elettorali su Ilva,
Tap, condono fiscale... E poi il fastidio per le autonomie
istituzionali, cardine della democrazia, che o obbediscono o devono
tacere».
Si tornerà a votare presto?
«Hanno promesso tutto a
tutti. Salvini sa benissimo che le promesse mirabolanti non si
tradurranno in realtà: che 500 mila migranti non saranno cacciati e che
la povertà non sarà abolita. In quel momento chi appariva contro il
potere apparirà il potere. E questo rischia di avvenire nel cuore di una
tempesta finanziaria di cui si stanno incoscientemente creando le
condizioni. Non escludo che allora si torni a votare. La Lega cercherà
di sfruttare l’onda che le promesse hanno suscitato. E il Pd dovrà
decidere con chi coalizzarsi».
Scusi, lei non era quello della vocazione maggioritaria?
«Lo
sono, non lo ero. La vocazione maggioritaria si declina però in un modo
corrispondente al tempo; altrimenti rimane la vocazione minoritaria in
cui siamo precipitati. Oggi il Pd deve aprire se stesso e cercare
alleati: alla sua sinistra, tra gli ecologisti, nel pensiero liberale,
nel cattolicesimo democratico».