giovedì 18 ottobre 2018

Il Fatto 18.10.18
“Israele applica leggi in base all’origine degli imputati”
Il regista palestinese di nazionalità israeliana è sotto processo per diffamazione per un suo film sui raid a Jenin
“Israele applica leggi in base all’origine degli imputati”
di Roberta Zunini


Mohammad Bakri, uno dei registi e attori palestinesi di nazionalità israeliana più noti a livello internazionale, è in Italia, su invito di Assopace, dove venne la prima volta nel 2003 per recitare nel film di Saverio Costanzo, Private, sulle conseguenze dell’occupazione in Cisgiordania. Il regista italiano assieme a Bernardo Bertolucci, Paolo Virzì e a una lunga serie di colleghi e attori, ha firmato un appello alle autorità israeliane affinchè Bakri venga prosciolto dall’accusa di diffamazione mossagli da un riservista dell’esercito israeliano in seguito alla realizzazione nel 2002 del documentario sulla distruzione del campo profughi di Jenin. Il film fu sequestrato dalle sale israeliane e cinque soldati citarono in giudizio Bakri chiedendo l’equivalente di 600mila euro di danni. Già allora alcuni cineasti italiani, fra i quali Monicelli, Martone e i Taviani si mobilitarono e firmarono un appello in suo favore. I soldati persero la causa nel 2008: il giudice concluse che Bakri aveva diffamato l’intero esercito ma non i cinque soldati. Nel 2005, il regista raccontò la sua vicenda nel film Da quando te ne sei andato. L’anno scorso tuttavia il procuratore generale Avichai Mandelblit ha deciso di sostenere un colonnello riservista che chiede il risarcimento di 24mila euro per ogni proiezione. A distanza di 3 mesi dall’inizio del nuovo processo, la presidente di Assopace, Luisa Morgantini, ha organizzato alcune proiezioni del documentario nelle principali città italiane per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vicenda e raccogliere nuove firme.
Signor Bakri, il nuovo processo a suo carico si terrà fra pochi mesi, è ottimista sull’esito?
Sono già stato assolto una volta, ma nel frattempo Israele si è spostato sempre più a destra come dimostra la politica di Netanyahu. Purtroppo in Israele le leggi sono più o meno elastiche in base all’origine degli imputati.
Cosa ne pensa delle proteste in corso a Gaza per il diritto al ritorno dei palestinesi nei territori israeliani?
Il fantasma del diritto al ritorno terrorizza le autorità israeliane ma la questione andrà risolta. Di certo i palestinesi che vivono all’estero, che sono nati e integrati nei paesi d’adozione non lasceranno tutto per tornare a vivere nei territori appartenuti ai loro nonni o bisnonni. Diverso è per chi è nato e sopravvive nei campi profughi, in Libano come a Gaza, senza alcun diritto, senza alcuna possibilità di studiare né di trovare un lavoro. Questi profughi devono poter tornare o vivere in un luogo che offra loro un futuro.
Cosa ne pensa della rivalità tra Hamas e Fatah?
Ritengo che Hamas non sia un bene per la causa palestinese. Oggi, per esempio, il ministro della Cultura dell’ANP è un giovane molto preparato, così come altri esponenti di Fatah. In ogni caso le dirigenze passeranno, ma i palestinesi rimarranno. E alla fine otterranno giustizia.
I palestinesi musulmani con nazionalità israeliana, come lei, sono trattati come cittadini di serie B, come molti sostengono?
È così. Noi non abbiamo in partenza le stesse chance degli ebrei israeliani. Se ci accontentiamo ed evitiamo di fare politica, ci consentono di fare una vita apparentemente uguale a tanti israeliani della classe lavoratrice.