Corriere 12.10.18
La menzogna di stato
Per nove anni a Stefano Cucchi e alla sua famiglia è stata negata la democrazia. Poi, ieri, il muro di omertà è caduto
di Ezio Mauro
Vestivano
la divisa, portavano le stellette, erano due carabinieri, dentro una
caserma: e hanno pestato a sangue Stefano Cucchi, gettandolo a terra,
per poi colpirlo con un calcio in faccia.
Adesso lo sappiamo, a
distanza di nove anni dai fatti. La lunga battaglia solitaria di Ilaria,
la sorella del giovane morto una settimana dopo l’arresto, è finalmente
riuscita a rompere il muro di silenzio, di omertà, di ricatti e di
paura che ha avviluppato per un decennio quella vicenda con una falsa
verità, ostinatamente, contro ogni evidenza. Perché il corpo di Stefano
Cucchi, quel volto tumefatto e pieno di lividi per i colpi ricevuti, era
una denuncia che non si riusciva a nascondere.
Oggi ci troviamo di
fronte contemporaneamente una verità tardiva, e una vergogna di Stato
durata troppo a lungo, grazie a infinite complicità, a connivenze, a
correità.
A un senso dello Stato che non è sentimento ma solo
affiliazione d’apparato, e non cresce dentro la coscienza democratica e
nel pieno rispetto della legge e dei diritti del cittadino, chiunque
egli sia, naturalmente anche in manette.
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segue dalla prima pagina
Al
contrario. Perché è lo Stato democratico che ha peccato davanti al
cittadino Stefano Cucchi, arrestato per spaccio di droga quel giorno di
ottobre del 2009, quando è nato un diverbio perché lui non voleva
collaborare con la perquisizione personale e la fotosegnalazione, e due
carabinieri lo prendono a calci e pugni. Credono di poter fare quello
che vogliono, perché sono in uno spazio protetto, perché lui è nelle
loro mani, perché nessuno lo saprà, perché lui è un deviante e loro sono
lo Stato, perché hanno il potere, dunque possono abusarne: perché è già
successo, la storia recente d’Italia lo sa, e purtroppo loro sanno che
troppo spesso è una storia di impunità.
Ma questa volta c’è
l’ostinazione di una sorella, che espone quelle fotografie del cadavere
di Stefano, le trasforma in un’immagine che ci perseguita, che non può
lasciarci tranquilli. Nonostante quei lividi sul volto, la sentenza
incredibile di primo grado parla di «malnutrizione ». Comincia la
rincorsa nei tribunali, la gara contro la prescrizione, gli agenti di
custodia, i medici, finché nel 2015 si riaprono le indagini. E ieri, la
svolta decisiva. Per la prima volta uno dei carabinieri imputati di
omicidio preterintenzionale nel processo- bis ha confessato di aver
assistito al pestaggio di Cucchi, ha raccontato tutti i particolari e ha
chiamato in causa con nomi e cognomi i suoi due colleghi, che hanno
assalito l’arrestato, prima con uno schiaffo violento sul volto, poi con
una serie di spintoni fino a fargli perdere l’equilibrio, quindi con un
calcio con la punta del piede nell’ano.
Il carabiniere cerca di
fermare i suoi colleghi quando colpiscono Cucchi a terra, con un calcio
in faccia, ma inutilmente. Quando riferisce ciò che ha visto al
maresciallo suo superiore, cominciano le manovre di depistaggio: viene
invitato a dire ai magistrati che Cucchi stava bene e che non era
successo niente, dunque a nascondere tutto quello che aveva visto e a
tacere. Il carabiniere scrive però una relazione di servizio per i suoi
superiori e per la Procura, in cui annota i fatti di cui è stato
testimone, così come si sono svolti. Quel documento sparisce, e non
arriverà mai negli uffici giudiziari. Qualcuno lo ha intercettato e ha
impedito che un testimone del pestaggio di Stefano Cucchi portasse la
sua voce davanti alla magistratura. Per anni questa “confisca” ha
funzionato, nascondendo gli abusi, confinando la verità nel buio,
lasciando senza nome quei lividi sul volto di Cucchi.
E proprio da
quel documento sparito è nata la svolta. Perché a giugno il carabiniere
ha presentato una denuncia e, quando la Procura ha aperto un
procedimento contro ignoti, ha raccontato il pestaggio. Ieri la sua
deposizione è stata letta in aula, davanti a Ilaria Cucchi e ai suoi
genitori, che improvvisamente hanno visto rompersi la catena d’omertà
che aveva retto per nove anni. « Il muro è stato abbattuto — ha detto
Ilaria — ora saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla
sua famiglia ». Il ministro dell’Interno Salvini (che in passato aveva
polemizzato con Ilaria Cucchi: « Quel suo post mi fa schifo») ha
ripetuto ieri che «sorella e parenti sono benvenuti al Viminale»,
ricordando che «eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa
devono essere puniti con la massima severità, ma questo non può mettere
in discussione la professionalità e l’eroismo quotidiano di centinaia di
migliaia di ragazze e ragazzi delle forze dell’ordine». «Quel che è
accaduto a Cucchi era inaccettabile allora e lo è ancor di più oggi», ha
detto più nettamente la ministra della Difesa Trenta.
Forse, tra i
titoli di merito delle forze dell’ordine, Salvini avrebbe dovuto
ricordare il coraggio del carabiniere che — da solo — ha voluto rompere
l’omertà e vincere l’inerzia dei tempi, consentendo alla verità di far
luce sulla vergogna degli apparati per la morte di Cucchi dopo nove
anni. Nove anni di democrazia negata a un cittadino morto innocente,
alla sua famiglia, alla comunità tenuta nell’inganno di Stato.