Corriere 11.10.18
Giulio Guidorizzi (Einaudi)
L’eroe Ulisse raccontato dalle donne
di Eva Cantarella
Quante
sono state, nei secoli, le rivisitazioni della storia di Ulisse? Nelle
chiavi più svariate, ai livelli più diversi, dalle parole dei letterati
alle immagini televisive e cinematografiche, queste riletture ci hanno
svelato i molteplici aspetti del carattere del re di Itaca. Versatile
per definizione, possessore di qualità, come la celebre metis, che gli
consentivano di superare qualunque ostacolo, Ulisse è personaggio il cui
«multiforme ingegno» continua a sorprenderci, mostrando aspetti inediti
della sua vita. E a darcene un’altra prova oggi è Giulio Guidorizzi, il
cui racconto del famigerato ritorno a Itaca, fatto con la passione
dello scrittore e il rigore dello studioso, è caratterizzato da una
scelta narrativa che è, forse, il maggiore tra i tanti pregi del libro
(Giulio Guidorizzi, Ulisse. L’ultimo degli eroi, Einaudi, pagine 200, e
14). La prospettiva nella quale è narrata la storia, infatti, non è
quella di Ulisse: è quella delle donne che lo hanno amato. Ed è
soprattutto in questa scelta che Guidorizzi dimostra la sua qualità di
narratore, cambiando le prospettive a seconda dei punti di vista della
voce femminile narrante, e con queste cambiando anche la storia: visto
da Circe, Ulisse è un uomo «che dorme nel mio letto, nudo, indifeso, che
— le fa pensare Guidorizzi — potrei in un istante trasformare in
animale, o gettare una gabbia invisibile intorno alla sua mente e
costringerlo a non uscire mai più da questa casa». Ma decide di non
farlo: ammaliata da Ulisse lo risparmia, e al momento del commiato
arriva a suggerirgli come evitare i pericoli ai quali sta andando
incontro. Sono tanti gli episodi che mostrano come la possibilità di
leggere molteplici significati dietro le parole omeriche renda attuale
quel che fu scritto tre millenni fa, ma uno dei più belli è il dialogo
con Calipso: la ninfa gli ha offerto l’eternità, Ulisse ha rifiutato, ma
per lei il rifiuto è incomprensibile: «Noi (immortali) — le fa dire
Guidorizzi — non sappiamo cos’è la vostra pena di vedere ogni cosa che
fugge via e io vedo, Ulisse, come sei triste quando ricordi… persino
nella vostra anima voi sperimentate la legge del mutamento, perché i
vostri sentimenti cambiano, quando gli dei vogliono fare a un uomo il
dono più bello lo sottraggono alla sensazione del tempo: ed egli non
sentirà più scorrere l’acqua del fiume, sulla quale la sua vita passa
come un ramoscello trasportato dalla corrente...».
Ma è nella
pagina finale del libro che Guidorizzi, con un vero e proprio coup de
théâtre, svela nel modo più evidente le sue qualità di romanziere.
Uccisi i proci e riconquistato il potere, Ulisse finalmente fa l’amore
con la moglie, alla quale racconta non solo i pericoli corsi, ma anche,
onestamente, le avventure sentimentali che hanno accompagnato non pochi
anni del suo viaggio. Penelope ascolta, e capisce…; ma poi Ulisse le
dice che dovrà intraprendere un altro lungo viaggio, al termine del
quale, le assicura, ritornerà da lei. E Penelope continua ad ascoltare…
ma dopo averlo fatto prende la spada di Ulisse e con due colpi, in
silenzio, distrugge la ben nota tela. Guidorizzi non commenta: ma il
lettore si chiede il significato del gesto. Significa che la vecchia
Penelope è morta, e la nuova è una donna radicalmente diversa? Si
direbbe di sì, ma non potrebbe significare anche qualcos’altro? Che
Penelope non ha la benché minima intenzione di continuare a passare la
vita aspettandolo? Nel silenzio dell’autore ogni supposizione è valida: e
questa, credo, verrebbe accolta con grande piacere da un buon numero di
lettrici.