mercoledì 10 ottobre 2018

Corriere 10.10.18
Il reportage: la rotta africana
Alle porte del Sahara
dalla nostra inviata a Agadez Alessandra Muglia


Viaggio in Niger, ad Agadez, dove la Ue investe
per favorire i ritorni dei migranti e aiutarli a casa loro
«Aspetto di ricevere fondi da 6 mesi: non arriva nulla»
La barriera di militari si rafforza ma la porta del deserto è tutt’altro che chiusa. Agadez, antica tappa carovaniera nel cuore del Niger, da crocevia dei migranti diretti a Nord sembrava diventata una meta forzata per chi ritorna a Sud, in fuga dalla Libia o espulso tra le dune dall’Algeria. Effetto della legge che criminalizza il trasporto di migranti. Una misura entrata in vigore due anni fa su pressione della Ue. Ma ai confini del Sahara, dove l’Europa ha spostato la sua frontiera meridionale, molti di quelli che tornano sono pronti a ritentare l’«avventura» verso il Mediterraneo, costi quel che costi.
«So bene che passare in Libia ora è molto più rischioso, ci ho già provato tre volte, sono stato anche in carcere per questo, ma la mia famiglia ha pagato, non posso tirarmi indietro». Aboubacar Diba, originario del Gambia, tiene botta agli operatori dell’Oim che cercano di dissuaderlo. Vive in un quartiere di «ghetti», baracche di terra rossa appoggiate sulla sabbia, rifugio dei migranti in partenza. «Ho un diploma in business management ma in Gambia non c’è niente da gestire, devo sfamare i miei figli» dice. Rachi, connazionale 36enne, ci fa accomodare, i bidoni dell’acqua come sedie. «Ma voi cosa potete fare per noi?» chiede. Anche lui non vuole saperne di tornare a casa. «Dite che ci supportate a iniziare una nuova vita nei nostri Paesi, ma amici già rientrati dopo sei mesi non hanno visto nulla e ora vogliono rimettersi in viaggio». Scuote la testa Livia Manente, dell’Oim, l’agenzia che con fondi europei supporta i migranti «pentiti»: «Dovete darci tempo, non distribuiamo soldi ma finanziamo progetti personalizzati, come un piccolo business o la ripresa degli studi» chiarisce.
Un’idea buona sulla carta, premiata da adesioni in crescita: i migranti nei 7 centri in Niger sono lievitati dai 7095 del 2017, agli oltre 12mila di quest’anno. Ma se avviare migliaia di progetti nei Paesi d’origine richiede uno sforzo enorme, un’attesa di mesi rischia di vanificarlo. Emblematico il caso di Arouna, 26 anni, scappato dal Camerun, ributtato indietro dal Marocco e poi dall’Algeria, infine soccorso ad agosto dall’Oim. Era stremato. Al centro di transito di Agadez ci aveva raccontato dell’idea di tornare e aprire un negozio. Finanziamento previsto: mille euro. Ma a pochi giorni dal rientro è già disperato. Si fa vivo via Whatsapp: «C’è gente che dopo 5 mesi non ha ricevuto niente».
È forte la tentazione di unirsi ai migranti in partenza da Agadez. Che risultano in forte calo: dai 330 mila registrati dall’Oim nel 2016 ai 20 mila del 2018. «Sembrano meno perché non passano più per le rotte principali. Ma ogni giorno i migranti arrivano qui e partono» assicura Bachir Amma, fondatore dell’associazione di ex passeur, addetti al trasporto dei migranti. Il cortile in terra battuta di casa sua era un «ghetto». «Avevo il permesso, pagavo tasse e pedaggio per l’uscita dei veicoli, con un convoglio scortato dai militari. Tutto regolare. Poi un lunedì di due anni fa hanno sequestrato centinaia di pick up e incarcerato gli autisti — racconta — In Niger abbiamo tante leggi, ma poche sono applicate come questa». Un diplomatico europeo a Niamey definisce «eccellente» la cooperazione del Paese.
Il Paese più povero al mondo dopo la Repubblica Centrafricana è pagato profumatamente per questi sforzi da un’Europa desiderosa di ridurre i flussi: oltre un miliardo i fondi destinati al Niger fino al 2020, con centinaia di milioni in progetti per contrastare il traffico di migranti e «aiutarli a casa loro». L’Europa canta vittoria sul calo degli sbarchi. Ma è una «vittoria» a metà. Per sfuggire ai controlli, vengono aperte nuove rotte, «più pericolose, di notte» conferma Amadou, ex guida di pick up. Muoiono di più e ne arrivano di meno. Frequenti i casi di migranti abbandonati nel Sahara da autisti che temono il carcere: l’Oim ne ha recuperati oltre 9 mila in due anni. «Per fermare i migranti bisogna dare una reale alternativa a quanti fanno business con loro — si scalda Amma —. Abbiamo smesso in 6.565, ma sa quanti hanno ricevuto gli aiuti promessi per nuove attività? Soltanto 371».
Nel «ghetto» di Rachi, c’è anche Jabab, ragazzino «venduto» in Benin, dove resiste la tradizione tra i poveri di affidare i figli a famiglie facoltose con l’illusione che li facciano studiare, salvo poi farne dei piccoli schiavi. «Sono scappato due anni fa, avevo 15 anni. Se raggiungo l’Europa, voglio fare il calciatore, sono bravo, sai?».