domenica 9 settembre 2018

Repubblica 9.9.18
La tempesta perfetta
di Sergio Rizzo


Il messaggio di fiducia per i sostenitori dell’Europa viene recapitato con una domanda. Chiede un giovane imprenditore in platea al sovranista Geert Wilders, fondatore del Partito per la libertà olandese, alleato di Matteo Salvini e Marine Le Pen, che con loro vorrebbe smontare l’Ue: «Noi abbiamo girato il mondo e non sappiamo cosa siano i confini nazionali. Lei è consapevole che fra vent’anni, quando toccherà a noi, tutto questo non avrà senso?». Resta solo da capire che cosa ne sarà di questo continente da qui a vent’anni. Di sicuro sappiamo che per il 2019 si prepara la tempesta politica perfetta. Dagli albori dell’Europa unita non si è mai verificata una tale concentrazione di eventi così cruciali in uno spazio temporale tanto ristretto. Per la fine di maggio sono previste le elezioni del Parlamento europeo, dove il fronte sovranista che sta dilagando nei sondaggi di tutto il continente, a cominciare dall’Italia, conta di fare bottino pieno. E magari, sfruttando la sponda delle loro quinte colonne nel Ppe come il Fidesz di Victor Orbán, conquistare addirittura la maggioranza di Strasburgo. Si verificherebbe così la circostanza inedita e surreale di un Parlamento europeo controllato da un’alleanza politica fra forze antieuropee.
A quel punto l’autunno diverrebbe non caldo, ma incandescente. Le nomine del presidente della Commissione europea e del presidente della Banca centrale europea, previste per allora, non sarebbero altro che l’occasione per l’assalto finale. «La sfida fra chi vuole distruggere e chi difendere i valori» dell’Unione europea, per usare l’immagine evocata ieri al Forum Ambrosetti di Cernobbio dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, potrebbe raggiungere toni al calor bianco. Con un esito non troppo difficile da prevedere. Nonostante Salvini assicuri di condividere «gli spiriti originari dell’Europa» ( benché «non quelli di questa Unione europea » ) e il premier Giuseppe Conte garantisca che il governo «non vuole uscire dall’Europa » né «dal sistema monetario » , Wilders non cessa di ripetere che l’obiettivo è «riconquistare la sovranità » . Il suo proclama: «Io sono stato eletto dagli olandesi e devo fare il loro interesse. E il loro soltanto » . A completare lo scenario con il quale tutti saremo costretti a fare i conti, ecco la Brexit: data prevista, il 29 marzo. Come antipasto delle elezioni dell’Europarlamento, altra benzina possibile per il fronte sovranista. Nell’anno del grande cambiamento un grande Paese, il primo, che abbandona l’Ue. Eppure proprio le probabili ricadute della Brexit dovrebbero indurre a riflettere sulle conseguenze di una tempesta perfetta. Secondo uno studio preparato per l’appuntamento di Cernobbio da The European house Ambrosetti, elaborando i dati contenuti nelle principali stime sugli effetti dello shock britannico, l’uscita dall’Ue "hard", cioè senza accordo sui futuri rapporti, di un Paese che rappresenta il 15% del Pil continentale e il 13% della sua popolazione metterebbe a rischio mezzo milione di posti di lavoro nel Regno Unito, e 1,2 milioni nel resto dell’Unione. A causa dei dazi doganali e delle altre barriere non tariffarie, che graverebbero pesantemente su una quota fino al 27% dell’export inglese, il costo per le imprese britanniche raggiungerebbe 30 miliardi di euro con punte drammatiche in alcuni settori, per esempio in quello dell’automotive. La Honda importa ogni giorno nel Regno Unito due milioni di pezzi dagli altri Paesi europei, il 75% dei quali attraverso la ferrovia sotto la Manica. Oggi arrivano in un tempo previsto fra 5 e 24 ore; dal 29 marzo potrebbero impiegare anche 9 giorni, e con 60 mila dichiarazioni doganali aggiuntive. Non meglio per la Bmw, che produce le auto nei quattro stabilimenti inglesi con il 90% dei componenti importati. Senza contare le conseguenze sul settore finanziario, il vero motore economico del Regno Unito. Il conto finale sarebbe devastante: la distruzione del 4,5% del prodotto interno lordo britannico e dell’1,5% di quello europeo nel solo settore manifatturiero. Ma al di là dei possibili sviluppi commerciali futuri, la Brexit ha già lasciato qualche segno profondo. Fra il giugno 2017 e la fine del 2017 i valori immobiliari a Londra sono calati mediamente del 15,7 per cento. Nello scorso anno, per le incertezze causate dall’uscito dall’Ue, hanno lasciato il territorio britannico ben 130 mila cittadini europei. Mentre 12.994 cittadini britannici hanno eletto la propria residenza in altri Paesi dell’Unione: l’anno prima, quello del referendum, erano stati 6.555, contro i 2.478 del 2015. Per non parlare di un altro settore strategico, quello dell’istruzione. Quest’anno le università britanniche hanno già registrato un calo del 9% degli studenti europei iscritti a corsi post laurea. Se il buongiorno si vede dal mattino…