Corriere 9.9.18
E Di Maio disse: così cadiamo
Quell’avvertimento sulla spallata: attento, vogliono il M5S con il Pd
Le parole del vicepremier pentastellato all’alleato leghista: fermati o io non reggo
di Tommaso Labate
ROMA
«Tu lo sai già che io sono d’accordo con te, come lo sono quasi sempre.
Ma smettiamola di pensare che la questione ora riguardi me, te, la
Diciotti, l’immigrazione, i magistrati... L’abbiamo capito entrambi che
qua è in corso un’operazione seria per dare la spallata al nostro
governo e spingere il Movimento Cinque Stelle a fare una maggioranza col
Pd sull’onda dell’emergenza per approvare la legge di stabilità e per
tranquillizzare l’Europa... Se andiamo avanti di questo passo, quella
manovra riuscirà. Io così non reggo più». Mentre viaggia verso Cernobbio
— dove proverà a tamponare mediaticamente i toni furibondi dell’assalto
alla magistratura di ieri l’altro — Matteo Salvini pensa e ripensa alle
parole che, nella notte tra venerdì e sabato, ha ascoltato dalla viva
voce di Luigi di Maio.
Lo scenario
Stavolta non c’entrano le
fronde interne, l’area pur in espansione del dissenso parlamentare
guidata da Roberto Fico, i segni più e meno nei sondaggi che oggi
premiano la Lega a scapito dei grillini. Nell’accorato appello a
«fermare questa escalation», che ha ascoltato da quel «collega
vicepremier» che il leader leghista considera niente di più e niente di
meno che «una persona leale e un amico», c’è la certezza — almeno Di
Maio l’avrebbe messa in questi termini — che nel giro di poco tempo uno
tsunami interno è in grado di sovvertire lo schema di governo.
I dossier aperti
Troppi,
nella lettura del capo politico, sono i dossier aperti che rischiano di
provocare una rivoluzione interna alla creatura di Grillo: dai
tarantini inferociti per l’esito finale della partita sull’Ilva ai mille
dubbi sulla fattibilità immediata di quel reddito di cittadinanza per
come è stato promesso in campagna elettorale. E troppe sono le persone
che potrebbero farsi avanti per dire basta. A cominciare da Alessandro
Di Battista, che domani sera tornerà a far sentire la sua voce, ospite
di Lilli Gruber nella prima puntata della nuova stagione di Otto e mezzo
su La7, per finire a Beppe Grillo in persona.
Quello che bisogna
evitare, e questo Di Maio lo spiega a chiare lettere a Salvini, è
l’inasprimento dei toni contro la magistratura palermitana. D’altronde, e
i fedelissimi del ministro dello Sviluppo economico l’hanno
sottolineato a più riprese, «che cosa succede se anche i magistrati come
Davigo, quelli di cui abbiamo portato avanti le battaglie, iniziassero a
dire che siamo alleati con uno che fa peggio di Berlusconi?».
Lo
scenario della «spallata» convince Salvini. Il leader della Lega,
ascoltati i pareri della cerchia ristretta, si convince che il piano per
sostituirlo col Pd nella maggioranza potrebbe presto finire sul tavolo
da gioco. «E a quel punto, per evitare di mandarci al voto con questi
sondaggi alle stelle — dice un leghista del governo — né Renzi né altri
si metterebbero di traverso come hanno fatto in primavera. Firmerebbero
immediatamente, in bianco». La scelta di ingranare la retromarcia contro
i giudici, messa a punto nella notte di venerdì, si materializza
plasticamente nel discorso di Cernobbio. «Nessun golpe giudiziario»,
scandisce il leader della Lega associandolo a messaggi rassicuranti
indirizzati all’Europa tipo che «il governo punta a una crescita
rispettosa dei vincoli europei» o la garanzia che «faremo l’impossibile
per rispettare i vincoli esterni».
Lo schema
A Palazzo
Chigi, l’indefessa macchina della comunicazione gialloverde aveva messo a
punto una sceneggiatura ad hoc che tenesse insieme l’ennesima giornata
bollente del governo Conte. Limano tutto nei dettagli. La frase con cui
Di Maio dirà di essere stato l’artefice della retromarcia di Salvini
(«Gli ho detto io di non attaccare i pm»); l’ultima uscita del
guardasigilli Bonafede – quella di venerdì sera aveva fatto
letteralmente infuriare Salvini – consegnata a L’Intervista con Maria
Latella («Il mio non era un attacco a Salvini ma una precisazione»); le
parole di Salvini a Cernobbio. Il solito schema in cui una volta vince
l’uno e una volta l’altro, uno schema che finora ha tenuto insieme due
elettorati molto diversi. Ma a Palazzo, adesso, vedono un baratro. E il
rischio di finirci dentro sembra sempre più alto.