Corriere 9.9.18
Il senso di una misura alternativa
di Luigi Ferrarella
Né
scandalo da menare, né routine da banalizzare: l’istituto della «messa
alla prova» per i minorenni autori di reati è una cosa seria. Se viene
fatta seriamente. E se, prima, viene spiegata seriamente, soprattutto
alle vittime da parte del giudice. Il punto di partenza è che la
legislazione italiana, dal 1988, muove da un principio di favore per il
minorenne reo, nell’assunto che in una personalità in crescita il
singolo atto trasgressivo (anche il più grave) non sia di per sé
indicativo di una definitiva scelta di vita deviante; e che, al
contra-rio, la presa di coscienza del significato del male inflitto alla
vittima e l’avvio di un processo di responsabilizzazione siano in lui
più probabili non nella detenzione, ma in un rigoroso progetto di
recupero fatto di studio, lavoro, volontariato, assistenza a disabili,
cura di malati, nonché prescrizioni volte a ripara-re le conseguenze del
reato e (laddove possibile) avvicinarsi alla conciliazione con la
perso-na offesa. Quando il giudice intravede queste pre-messe, ordina la
sospensione del processo (anche per reati gravi come omicidi e violenze
sessuali) durante il periodo di messa alla prova del minore affidato ai
servizi minorili, che può durare sino a 3 anni. All’esito della prova,
se l’esito è positivo il giudice «dichiara estinto il reato» del minore,
per il quale dunque non ci sarà più processo; se invece è negativo, il
giudice ordina la ripresa del processo, che a quel punto sfocerà in una
usuale condanna al carcere. Le messe alla pro-va, che all’inizio degli
anni ‘90 erano circa 800 l’anno, ormai riguardano un minorenne ogni sei
che entrano nel circuito penale, e nel 2016 si sono quasi quintuplicate a
quota 3.757 (per esempio in circa 150 casi di violenze sessuali). Ma
l’esito non è mai automatico: il 6% viene revocato in corso d’opera per
violazioni del minore, e l’esito finale è poi negativo in media per un
altro 19% di minorenni. Ma una ricerca del Ministero e dell’Università
di Perugia, centrata sui nati nel 1987 entrati nel circuito penale, ha
mostrato come a distanza di sei anni i minorenni usciti dalla messa alla
prova fossero tornati a delinquere nel 20% dei casi, ben undici punti
meno del 31% di recidivi invece tra i non messi alla prova ma puniti con
detenzione ordinaria.